"Resurrezione di Lazzaro" di Giotto
La "Resurrezione di Lazzaro" è di Giotto ma potrebbe portare la firma di Dante
Tra i personaggi del Vangelo, prediligo Lazzaro. La sua resurrezione viene narrata solo da Giovanni. Giovane di ricca famiglia — alquanto diverso dai pescatori e dagli artigiani di cui si circonda il Maestro è nel sepolcro già da quattro giorni quando, invocato dalle sorelle Marta e Maddalena, Gesù arriva a Betania. Ha già resuscitato il figlio della vedova di Nain e la figlia di Giairo, ma in privato. Ora richiama Lazzaro alla vita: basta la sua voce. E un miracolo del Vèrbo. Si tratta del miracolo più clamoroso di Gesù: è anche l’ultimo. Benché abbia ispirato innumerevoli pittori — e la versione di Caravaggio è più sconvolgente — quella di Giotto ha qualcosa di definitivo. Essa ci abita. Giotto è all’origine del nostro immaginario.
L’affresco si trova nella cappella degli Scrovegni, a Padova. Il committente è Enrico, impopolare in città ma ricchissimo; l’impresa decorativa deve celebrare il riscatto dell’umanità ed essere realizzata rapidamente (neanche due anni). La semplicità della composizione, l’economia dei segni e dei simboli, la chiarezza delle immagini, l’armonia dei colori, la potenza narrativa, la carica emozionale che deriva dalla verosimiglianza e dall’umanizzazione delle storie sacro fecero, e fanno ancora, un effetto indelebile. Giotto è semplice, universale e immediato, come il Vangelo; terragno, risentito e mistico come il suo coetaneo Dante. Parla agli illetterati e ai dotti, ai fedeli e ai miscredenti. Ma anche ai pittori, che per secoli impareranno qui il segreto della decorazione muraria— come valorizzare la parete senza negarla, come sviluppare lo spazio senza dare profondità, come individualizzare i personaggi, svolgere la narrazione in modo da intensificare il dramma, scegliere il momento culminante dell’azione, eliminare il superfluo, indurre emozioni tramite le forme e i colori. La Resurrezione di Lazzaro si trova nel secondo registro della parete sinistra della cappe!la, preceduto dalle Nozze di Cana. E’ solo un episodio nella storia più vasta della vita di Maria e di Gesù, che Giotto illustra su tre livelli sovrapposti, istituendo fra le scene una rete complessa di echi e risonanze. Tuttavia ogni episodio è anche un capitolo a sé stante, e come tale può essere letto. La metafora è abusata ma necessaria: Giotto volle che sulle pareti della cappella le pitture si leggessero in orizzontale, da sinistra a destra, come un libro appunto. Non solo nel loro insieme, ma anche le singole immagini. Anche la Resurrezione va letta perciò nello stesso modo. Sulla sinistra Giotto colloca il gruppo degli apostoli con l’aureola, dai quali spicca Gesù — lievemente rialzato rispetto agli altri, la mano levata che si staglia contro il cielo azzurro. Le espressioni dei volti comunicano stupore e attesa. Gesù ha appena gridato: “Lazzaro, vieni fuori”. Prostrate ai suoi piedi, ancora nell’atto di scongiurarlo di riportare Lazzaro alla vita, le sorelle del morto — Marta, vestita di chiaro, in primo piano; dietro di lei, in rosso, Maddalena — sono ignare di quanto accade alle loro spalle, dove un secondo gruppo è agitato da un movimento convulso di sconcerto e meraviglia. Sul lato destro, speculare alla figura di Gesù, c’è Lazzaro, avvolto in bianche bende, come una mummia. San Pietro gli sta svolgendo le fasce; un apostolo si tura naso e bocca con un lembo dell’abito per non respirare il tanfo di putrefazione che si leva da lui. E così fa alle sue spalle il giudeo barbuto che si scherma con l’abito azzurro. L’affresco è muto e inodore, eppure Giotto attiva tutti i nostri sensi, e ci fa percepire i bisbigli, le parole, la puzza. Il paesaggio è ridotto a una rupe nuda e tre alberi verdi. In basso, a destra, due garzoni trascinano la lastra di marmo della tomba, riprodotta con virtuosismo in tutte le sue venature. L’inclinazione della lastra induce chi guarda a proseguire la lettura, e a passare al capitolo successivo (L’ingresso a Gerusalemme). Io invece sono ipnotizzata da Lazzaro, che Giotto dipinge con lo stesso crudo realismo con cui Dante descrive nell’Inferno le pene dei dannati (anche quelle del padre del committente di Giotto, Reginaldo Scrovegni, seduto sulla sabbia rovente nel VII cerchio destinato agli usurai e tormentato da una pioggia di fuoco). Cadaverico, ancora rigido, le labbra nere socchiuse, gli occhi revulsi, Lazzaro non si rende conto di essere vivo. Tutti vorrebbero ascoltare le sue parole: cosa c’è, dall’altra parte? Ma il Vangelo tace, e dunque anche il pittore. Giotto è fedele alla lettera del Vangelo (anche se apocrifo): per volontà del committente, del “suggeritore” (il teologo che forse stese il piano iconografico), o sua. Si permise una sola variante. Apprendendo la notizia della morte di Lazzaro, Gesù piange. Ora nei Vangeli Gesù compie molte azioni: cavalca un asino, traccia segni in terra, tiene discorsi. Ma piange solo due volte: per la sorte di Gerusalemme, e qui. Giovanni lo spiega molto umanamente: Lazzaro era suo amico. Ecco, l’idea che Cristo resusciti il suo amico, e non un morto qualunque, mi è sempre sembrata incredibilmente eversiva. Per amicizia, compie infatti un miracolo davvero rischioso. In pubblico. Non può ordinare di tacere l’accaduto, come nelle altre resurrezioni: la folla propaga la notizia. Ora tutti sanno di cosa è capace l’uomo che presume di essere il figlio di Dio. Si è svelato. Verrà ucciso infatti poco dopo. La resurrezione di Lazzaro è anche il prologo della morte di Gesù: la vita ridata al mortale da Dio chiama la morte data dagli uomini a Dio. Ma non brilla quella lacrima Ma non brilla quella lacrima sulla guancia di Gesù. I suoi occhi, sottolineati da un contorno scuro, sono asciutti. Se non l’ha cancellata il tempo, l’ha omessa Giotto. Per quanto ne so, ha dipinto una sola lacrima nella Cappella degli Scrovegni: nella Strage degli innocenti, sulla guancia di una madre. Forse pensava che una donna può piangere la morte di un figlio, ma un dio non può piangere quella di un amico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Con Giotto e il suo ciclo di affreschi nella Cappella degli Scrovegni - dove si manifesta in tutta la sua novità e grandiosità la sua arte - prende inizio il momento più alto ed importante della pittura Occidentale. Egli fece rinascere la pittura, dandole gentilezza e naturalezza e ricollegandola alla fonte classica, i cui contenuti essenziali erano la natura e la storia. Ma Giotto era anche il maestro di un'arte borghese , sobria, semplice, il narratore breve ed essenziale di una realtà oggettiva, tutta figlia del suo tempo. Trasforma l'immobilità iconica dell'arte bizantina in imponenza monumentale e l'esasperazione del sentimento in azione e dramma. Per la prima volta gli spettatori entrano nella scena e, compartecipando alla narrazione, si commuovono.
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L'opera n. 12
"Giotto è semplice, universale e immediato, come il Vangelo; terragno, risentito e mistico come il suo coetaneo Dante. Parla agli illetterati e ai dotti, ai fedeli e ai miscredenti. Ma anche ai pittori, che per secoli impareranno qui il segreto della decorazione muraria - come valorizzare la parete senza negarla, come sviluppare lo spazio senza dare profondità, come individualizzare i personaggi, svolgere la narrazione in modo da intensificare il dramma, scegliere il momento culminante dell’azione, eliminare il superfluo, indurre emozioni tramite le forme e i colori ". (Melania Mazzucco)
Cappella degli Scrovegni.
(Detta anche dell'Arena) si trova nel centro storico di Padova. Capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo, è considerato il ciclo più completo di affreschi realizzato dal grande maestro toscano nella sua maturità. Colore e luce, poesia e pathos. L'uomo e Dio. Il senso della natura e della storia, il senso di umanità e di fede fusi assieme per narrare in un modo unico, irripetibile le storie della Madonna e di Cristo. Giotto termina gli affreschi della Cappella entro i primi mesi del 1306. In questa data "...la cappella presenta un'architettura molto semplice: un'aula rettangolare con volta a botte, un'elegante trifora gotica in facciata, alte e strette finestre sulla parete sud, un'abside poligonale poi sopraelevata per la cella campanaria".
Il ciclo pittorico della Cappella è sviluppato in tre temi principali: gli episodi della vita di Gioacchino e Anna (riquadri 1-6), gli episodi della vita di Maria (riquadri 7-13) e gli episodi della vita e morte di Cristo. In basso a questi affreschi, una serie di riquadri illustra le allegorie dei Vizi e delle Virtù. L'artista
La vita di Giotto
Storie di Gioacchino e di Maria
(registro superiore) Sorie di Cristo
(due registri mediani) Virtù e Vizi
(registro inferiore) |