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"Marphise et la femme impertinente"
L'ideale femminile di Delacroix era l'odalisca. Come molti europei, dal viaggio in Marocco e Algeria - nel 1831 - tornò infatuato di luce e colore, di paesaggi, cavalieri e costumi esotici, e dell'harem. Le donne sensuali che tessevano, danzavano e aspettavano l'uomo, recluse nei loro appartamenti, lo avevano incantato. Alle Donne d'Algeri nelle loro stanze dedicò, al ritorno in Francia, alcuni dei suoi quadri più famosi. Sorprende perciò come una palinodia il quadro che Delacroix cominciò all'inizio del 1850, per cui creò almeno sette schizzi preparatori e che ultimò con massima finezza: Marfisa e la donna impertinente. Per capire la novità dell'immagine, e il suo significato, bisogna dire qualcosa di Marfisa. Perché molti si chiederanno: chi era costei
Il cavaliere errante? E’ donna
La letteratura offriva soggetti ai pittori dell'800 come nel Medioevo la religione e, nel Rinascimento, la mitologia. Era un repertorio, un serbatoio di scene, ambienti, eroi. In gioventù, Delacroix vi aveva attinto in polemica con la frigida pittura neoclassica di storia. Di ottima famiglia e di ottimi studi, scrittore e amico di scrittori, era un lettore onnivoro, colto e curioso. Poemi, leggende popolari, ballate, romanzi, tragedie: tutto trasformava in pittura. Chateaubriand, Scott, Byron, Goethe, Dante e Shakespeare... Negli anni '30, i denigratori gli riconobbero la stessa energia che appassionava gli scrittori romantici - e la stessa "rivoltante follia": dipingeva con "pennello ubriaco" quadri che visti da vicino si rivelavano "scarabocchi informi". Gli ammiratori gli riconobbero la spiritualità, l'aspirazione all'infinito e la malinconia del colore in cui si effondeva l'essenza del romanticismo.
Nel 1850, però, il dandy rivoluzionario le cui opere avevano scatenato gazzarra e polemiche lavorava per lo Stato (al Palais Bourbon, all'hotel de Ville e al Louvre), era ufficiale della Légion d'honneur e aveva placato i suoi furori. Dipingeva santi, cacciatori, fiori e soprattutto felini selvaggi (tigri e leoni): a loro ormai riservava la bellezza barbara della violenza. In pittura come in letteratura, si era riconciliato col classico. Apprezzava un'arte sobria, ordinata ed equilibrata, senza artifici. La modernità doveva risiedere nella capacità di emozionare e nella tecnica pittorica. Insomma, aspirava a diventare un classico lui stesso. Aveva letto attentamente l'Orlando Furioso di Ariosto - annotando a margine gli episodi che gli offrivano spunti per i dipinti: Angelica, Medoro, Ruggero. E Marfisa. Ora Marfisa è il personaggio più singolare del poema. Ariosto l'aveva ereditata da Boiardo, come un'eroina comica e bizzarra. Le diede altre qualità. Fiera, sbruffona esanguinaria, la guerriera Marfisa fa sorridere - ma guadagna una storia e un destino. Straniera venuta d'Oriente, Marfisa è un cavaliere errante. Con l'armatura da uomo e sull'elmo l'insegna della Fenice, galoppa di canto in canto, bramosa di mettersi alla prova contro i paladini e di mostrare il proprio valore. Solitaria, disponibile a ogni avventura, si aggrega di volta in volta ad Astolfo o Ruggiero, di cui alla fine si scopre sorella. Combatte e sfascia teste, si accapiglia e si converte. Ma a 52 anni, anche Delacroix prende sul serio Marfisa. Forse gli ricorda la sua amica George Sand, o forse sente affine la guerriera indipendente e senza paura. Siamo nello spazio magico della foresta, che Delacroix rende con verdi, impressionistiche pennellate a macchie. Il cavaliere domina la scena sul suo destriero (tra i tanti cavalli dipinti da Delacroix, questo, che bardato bruca una fronda, è uno dei migliori). La visiera alzata dell'elmo scopre il bel viso e lo rivela donna. In sella, dietro di lei, si contorce una rugosa vecchia discinta. È la strega Gabrina, cui Marfisa sta dando un passaggio di là dal fiume. L'antefatto Delacroix lo relega nel lato destro: un cavallo scosso che fugge imbizzarrito, dando profondità allo spazio, e un cavaliere esanime sull'erba. È Pinabello, cui Marfisa ha appena inflitto, col colpo della lancia che tiene ancora in mano, il disonore di essere disarcionato da una femmina. Ma l'elemento più riuscito del quadro è la sensuale fanciulla nuda in primo piano, dalla carne iridescente, bagnata di luce come una Venere. L'amante di Pinabello è assai bella e ciò la rende insolente. Quando nella foresta incrocia Marfisa con la sua passeggera, credendola un guerriero la sbeffeggia per la bruttezza della sua compagna. Marfisa sfida a duello Pinabello e lo sconfigge. Però non prende per sé la donna del vinto (come previsto dal codice cavalleresco), ma la costringe a spogliarsi, umiliando la sua vanità. Pudicamente, la nuda trattiene la veste, che la strega le strappa di mano. Delacroix ritrovò per lei il lirismo delle odalische della sua giovinezza. Eppure impiegò due anni a concepirla.La disegnò di fronte, e solo dopo vari ripensamenti la girò di spalle, come la Minerva del Giudizio di Paride di Raffaello (o di Rubens, appena ammirato a Bruxelles). Realizzò con virtuosismo la mezza tinta color opale del suo incarnato, impastando il tono caldo e rosso con la terra verde e qualche colpo di bianco. Il rosso della stoffa valorizza il madreperla della sua carne - un espediente che abbiamo già trovato in Bellini e Tiziano. Delacroix raffigura l'istante del denudamento e si limita ad alludere al seguito, ironico, del poema: Marfisa riveste con gli abiti sfarzosi della bella giovane la brutta e vecchia strega, e con quella se ne va, altera, per la sua strada. Il nudo è il punto più luminoso del quadro: la bellezza della giovane conta per il pittore più della sua stupidità. Non per le donne. Il 14 febbraio del 1850, la contessa Delfina Potocka visitò lo studio di Delacroix. Sul cavalletto notò subito, infastidita, la nuda nel bosco. "Che ci trovate di così attraente, voi altri artisti, voi altri uomini?", chiese la contessa (amica di Chopin e peraltro bellissima). "Che cos'ha di più interessante di un qualsiasi altro oggetto visto nella sua nudità, nella sua crudezza, una mela per esempio?". Cézanne sarebbe stato d'accordo, ma Delacroix non rispose. Nel 1852 vendette il quadro a un amatore per 1500 franchi. Non tanti. Solo dopo la morte (nel 1863), venne esaltato come il "puro classico" che riteneva di essere. I collezionisti benedicevano la vendetta di Marfisa. Il quadro moltiplicò di prezzo, e nel 1901 fu rivenduto per 30mila franchi. Emigrò in America. Forse, la cavaliera errante ne sarebbe stata felice. Delacroix: mito e poesia
Dall'archivio di Repubblica, l'estratto di un articolo di Elena Guicciardi sul pittore, scritto in occasione di una grande mostra parigina dedicata alle sue opere
"...Artista polivalente e prolifico - ben 9.400 lavori figurano nel catalogo ragionato dell'opera omnia - Delacroix, che cominciò a dipingere a 17 anni e continuò fino alla morte, rimase sempre fedele a certi temi, pur innovandone lo stile. La rassegna si apre con una sezione dedicata alla caccia grossa: scene di tigri e di leoni, che risentono dell'influenza di Rubens, ma anticipano il fauvisme per il loro delirio coloristico. L'orientalismo, nato dall'esperienza di un viaggio in Marocco, che colpì profondamente il pittore, si riflette in numerose tele, fra cui spiccano Le donne di Algeri e la famosa Morte di Sardanapalo. Si cambia registro con certe vedute marine o tramonti luminosi, già impressionisti, in aperto contrasto con i grandi affreschi classicheggianti che l'artista realizza, negli stessi anni, per il soffitto della Galleria di Apollo al Louvre, il Palazzo del Lussemburgo, l'Hôtel de Ville, il Palazzo Borbone o la chiesa di Saint Sulpice.
Uomo di vasta cultura, appassionato di mitologia, di storia, di musica, di letteratura, Delacroix fu intimo amico di Baudelaire, che gli dedicò una biografia capitale, come di Chopin e di George Sand, di cui fece i ritratti. Ammiratore di Dante, Shakespeare, Goethe, dell'Ariosto e del Tasso, si ispira spesso alle sue letture di autori antichi e moderni. Fra le opere più emblematiche al riguardo possiamo citare Ovidio fra gli Sciiti, La barca di Dante, o ancora Amleto e Orazio al cimitero, di shakespeariana memoria, o La morte di Lara, omaggio a Byron. La rassegna si chiude con alcuni dipinti di ispirazione religiosa, fra i quali il Cristo della tomba del museo di Boston o il Cristo sul lago di Genezareth, proveniente da Baltimora. In occasione di questo bicentenario va pure segnalata l'uscita di varie monografie, fra cui il Delacroix di Barthélemy Jobert da Gallimard e il Delacroix, l'enfer et l'atellier di Stéphane Guigan da Flammarion, nonché la ristampa del Diario dell'artista da Plon". Armando Sodano: Una donna ironica e irridente, Marfisa, un’altra stupida e vanitosa ma sensuale, l’amante di Pinabello, il cavaliere disarcionato e sconfitto. Il suo cavallo fugge via lontano, portando con sé il suo onore e la sua superbia. |
L'Opera n. 47
Siamo nello spazio magico della foresta, che Delacroix rende con verdi, impressionistiche pennellate a macchie. Il cavaliere domina la scena sul suo destriero (tra i tanti cavalli dipinti da Delacroix, questo, che bardato bruca una fronda, è uno dei migliori). La visiera alzata dell'elmo scopre il bel viso e lo rivela donna. In sella, dietro di lei, si contorce una rugosa vecchia discinta. È la strega Gabrina, cui Marfisa sta dando un passaggio di là dal fiume. L'antefatto Delacroix lo relega nel lato destro: un cavallo scosso che fugge imbizzarrito, dando profondità allo spazio, e un cavaliere esanime sull'erba. È Pinabello, cui Marfisa ha appena inflitto, col colpo della lancia che tiene ancora in mano, il disonore di essere disarcionato da una femmina. Ma l'elemento più riuscito del quadro è la sensuale fanciulla nuda in primo piano, dalla carne iridescente, bagnata di luce come una Venere. (Melania Mazzucco)
L'Autore
SusaSnne valadon
Eugène Delacroix
BiografiaFerdinand Victor Eugène Delacroix nasce a Saint-Maurice nei pressi di Parigi il 26 aprile del 1798 a Parigi e muore il 13 agosto del 1863; artista e pittore francese,fin dall'inizio della sua carriera considerato il principale esponente del movimento romantico Francese.
Lo di studio di Delacroix sugli effetti ottici ottenibili per mezzo del colore influenzano l'opera degli impressionisti, mentre la passione per i temi esotici è fonte di ispirazione per gli artisti del movimento simbolista. Delacroix come litografo realizza illustrazioni per numerose opere di Shakespeare, Sir Walter Scott e Goethe. A differenza del suo principale antagonista Ingres, che ricerca nel proprio lavoro il perfezionismo dello stile neoclassico, Delacroix prende spunto dall'arte di Rubens e dei pittori del Rinascimento veneziano, e pone maggiore enfasi sul colore e sul movimento piuttosto che sulla nitidezza dei profili e sulla perfezione delle forme. Le opere nella maturità sono caratterizzate da tematiche romantiche, che lo spingono a viaggiare in Nordafrica alla ricerca di esotismo, piuttosto che avvicinarsi ai modelli classici greci e romani. Erede spirituale ed amico di Théodore Géricault, Delacroix è ispirato anche da Byron, con cui condivide l'attrazione per le "sublimi forze" della natura e le loro manifestazioni spesso violente. Delacroix comunque non cade mai nel sentimentalismo ne nella retorica, ed il suo modello di romanticismo è quello di un individualista. Baudelaire dice: "Delacroix amò appassionatamente la passione, ma fu freddamente determinato ad esprimere la passione stessa nel modo più chiaro possibile." Charles Delacroix, all'epoca del concepimento di Eugène è sterile, e il suo vero padre si pensa sia in realtà Talleyrand, che frequenta la famiglia, e che sarà il successore di C. Delacroix come ministro degli esteri e a cui in età adulta Eugène assomiglierà sia nell'aspetto che nel carattere. Nella sua carriera d'artista Delacroix trova protezione prima in Talleyrand, e in seguito di suo nipote, Charles Auguste Louis Joseph Demorny, duca de Morny, fratellastro di Napoleone III e presidente della camera dei deputati francese. Al liceo Louis-le-Grand compie i primi studi e s'interessa alla lettura dei classici inoltre vince alcuni premi per l'abilità nel disegno. Nel 1815 inizia il suo apprendistato sotto la guida di Pierre-Narcisse Guérin, seguendo lo stile neoclassico di Jacques-Louis David. Una delle prime opere a tema religioso che gli vengono commissionate, La Vergine delle Messi (1819), mostra un'influenza raffaellesca, ma in un'opera successiva dello stesso tipo, La Vergine del Sacro Cuore (1821), si intravedere un'interpretazione più libera. Questi lavori sono antecedenti all'impatto che avranno su di lui lo stile sfarzoso e ricco di colori del pittore fiammingo Peter Paul Rubens (1577-1640) e quello del suo amico Théodore Géricault, le cui opere rappresentano l'esordio del movimento romantico nel mondo dell'arte figurativa. Il suo primo grande dipinto di Delacroix, La barca di Dante, accettata dal Salon di Parigi nel 1822, nasce dall'impressione suscitata in lui da La zattera della Medusa di Géricault. L'opera, comunque, suscita scalpore e viene contestata dal pubblico e dal modo accademico, comunque viene acquistata dallo Stato per la Galleria di Lussemburgo. Le opere
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