"Le cattive madri"
"I libri mediocri generano film magnifici, i capolavori della letteratura film mediocri. E' un luogo comune del cinema, e neanche sempre vero. Però anche in pittura testi modestissimi hanno ispirato opere importanti. E' il caso de Le cattive madri (o Il nirvana delle lussuriose) di Segantini. Rappresenta il culmine della fase simbolista della sua arte. Nei primi dodici anni di attività, Segantini aveva infatti aderito al naturalismo, nel solco verista della tradizione lombarda, e aveva dipinto paesaggi urbani, stamberghe visitate dalla fame e dalla difterite, coltivatori di bachi da seta, contadini, zampognari, pastori, vacche, vitelli, pollame, cavalli e soprattutto pecore. Nella seconda fase, seguendo una traiettoria simile a quella di Giovanni Pascoli, poeta coetaneo e fratello d'anima, abbandonò l'epopea umile della vita rurale e si orientò sulla lirica cosmica.
Al culmine del simbolismo
Segantini aveva vissuto l'infanzia diseredata di un orfano dickensiano - nutrito dall'assistenza pubblica, poi affidato alla sorellastra operaia, vagabondo nei bassifondi di Milano e infine rinchiuso in riformatorio a imparare il mestiere del ciabattino. Ignorava grammatica e sintassi. Ciò non gli impedì di formarsi, col tempo, una cultura letteraria ed estetica e di appassionarsi a Nietzsche e Schopenhauer: la sua massima aspirazione divenne quella di farsi filosofo, profeta e martire (in un autoritratto si dipinse nei panni del Cristo Morto di Mantegna). Ma il vangelo che voleva predicare come messia era quello di un'arte spiritualista, capace di soppiantare la funzione sacra della religione. I letterati apprezzarono la metamorfosi. Nella scrittrice Neera trovò l'interlocutrice ideale, e fu lei a consigliargli di scrivere la sua autobiografia - che dopo la sua morte alimentò la sua leggenda. Segantini, che aveva abbandonato Milano e la corruzione della metropoli per ritirarsi nella purezza delle montagne svizzere (prima in un villaggio dei Grigioni, poi in Engadina), leggeva molto. Rimase folgorato dal poema Pangiavahli, o Nirvana: lo tradusse in due quadri, e poi lo ripropose anche in forma di graffito.
Nel 1889 Nirvana fu spacciato come traduzione dell'antica saga vedica di Maironpanda. Ma Segantini lo sapeva frutto dell'inquieto talento di Luigi Illica, più noto come librettista di Mascagni, Giordano e Puccini. Era dedicato alle "male madri". Ora il tema della maternità incalzava da anni Segantini, che aveva saputo trasfigurare la nostalgia della madre dell'orfano in un'ossessione artistica. Uno dei suoi dipinti più celebri, Le due madri, del 1889, stabilisce un sintetico parallelismo fra la madre donna e la madre vacca (una accompagnata dal neonato, l'altra dal vitellino), a significare che quella di dare la vita e prendersi cura della prole è la missione che la natura ha assegnato alla femmina, al di là della specie. Nel Nirvana, invece, si era imbattuto nella sua antagonista: la donna che rifiuta la maternità. Perché infanticida, abortista, o solo malthusiana - come all'epoca si denigrava la donna che usava precauzioni contraccettive per non restare incinta, separando così l'atto sessuale dalla procreazione. Segantini, padre felice di quattro bambini, trovava questa figura perturbante. Il poema narrava nei 24 versi finali la punizione delle "lussuriose", condannate a vagare nella tormenta del silenzio, "in vallea livida per ghiacci eterni / dove non ramo inverda o fiore sbocci". Il Castigo delle lussuriose, che raffigura questi versi, dipinto nel 1891, fu mostrato all'Esposizione Internazionale di Berlino. Benché il trentino Segantini fosse già apprezzato in Germania e nel Nord Europa, il quadro non piacque: gli si rimproverò di dipingere il fantastico con realismo. Ma il fiasco accrebbe l'interesse di Segantini per il poema, la cui lettura lo trasportava in uno stato di intima inquietudine: attrazione e repulsione si alternavano, confondendolo. Nel 1894 creò il secondo 'pannello' del dittico - questo. In Italia fu stroncato come "astruseria simbolica", ma a Vienna trovò un ammiratore appassionato nell'imperatore Francesco Giuseppe (e poi negli artisti della Secessione). L'inferno delle lussuriose può infatti trasformarsi in un purgatorio qualora la donna ascolti il richiamo del suo grembo e accetti il ruolo ch'è suo dovere e destino. Ed è questo l'istante che Segantini dipinge: il ramo prende vita, il bimbo succhia il latte, la donna acconsente, la spinta impressa dal corpo libera dall'albero la madre perdonata e redenta. Il poema è detestabile, i versi brutti, la morale reazionaria e per ogni donna crudele. Eppure Le cattive madri è il capolavoro di Segantini. Forse solo la morte precoce a 41 anni gli impedì di crearne un altro, ma tant'è. L'immagine semplificata è di una rara potenza; la pennellata a lunghi filamenti di colore diviso ordisce un tessuto di materia serica come la neve; la costellazione simbolica (la natura, la madre, la luce, l'albero) riscatta la rozzezza della fonte e acquista risonanze universali; l'equilibrio delle proporzioni e degli elementi (la figura, il paesaggio) è perfetto. Inoltre la composizione bilanciata anticipa le sinuosità del liberty: molta art nouveau del '900 è già in embrione su questa tela. L'immagine alimenta l'ambiguità che la parola ignora (la donna subisce la maternità o la accetta volentieri?): tace il giudizio e affida il senso all'occhio dello spettatore. Le cattive madri è un quadro da guardare senza sonoro - come un film muto. Titolo
Dall'archivio di Repubblica, un articolo di Cesare De Seta sullo stile di Giovanni Segantini e dei suoi contemporanei
Alla Triennale di Brera del 1891 furono esposte due grandi tele che segnarono una svolta nell'arte italiana: Le due madri di Giovanni Segantini e La maternità di Gaetano Previati. Le insolite dimensioni delle tele testimoniano che entrambi i pittori non solo vollero ancorare la loro ispirazione a un soggetto classico della pittura, ma anche dar prova della loro valentia nel reggere, con i loro notevoli mezzi, composizioni così complesse. Segantini nell'opera mostra una consapevolezza raffinata della pittura fiamminga: la scena della mucca che allatta il vitello è spezzata dalla lampada che illumina la stalla, e butta la sua luce sul bimbo in fascee sul volto della madre. Tela in cui la poetica divisionista da cui muove il pittore è evidente, ma essa è come sublimata dalla componente così emotivamente simbolica. Il maestro, in una lettera a Domenico Tumiati del 1898, segnala infatti "l'effetto di lanterna" che è il baricentro visivo, non geometrico, della tela.
L'opera di Previati ha un'intenzionalità simbolista più netta, perché la maternità e gli angeli che la avviluppano, il chiarore albale che si diffonde dal fondo è ben oltre ogni realismo. Vittore Grubicy, collega e amico del pittore, a seguito delle polemiche suscitate, ne prese subito le difese e nel 1891 scriveva: "È convenuto che con la pittura si possono esprimere: delle idee che germogliano nel cervello, dei sentimenti che scaturiscono dall'animo, o delle emozioni che per gli occhi si ricevono dal mondo esteriore". È una dichiarazione efficace di poetica simbolista, a cui segue una stoccata al realismo. Entrambe le tele sono il felice esordio della mostra Il Simbolismo in Italia, a cura di Fernando Mazzocca, Carlo Sisi con Maria V. Marini Chiarelli, a Palazzo Zabarella (fino al 12 febbraio), che abbraccia circa quarant' anni a cavallo di due secoli, con una selezione di ottanta dipinti assai accurata dei maggiori protagonisti della stagione completata da raffinata grafica. Il mito, il sogno, l'enigma, il mistero, la sublimazione spiritualistica è un tutt' uno con la scoperta dell'inconscio che, in quegli anni, a Vienna e a Parigi, aveva già avuto modo di manifestarsi: la mostra offre confronti significativi anche con la prima. Il manifesto simbolista di Jean Moréas era stato pubblicato nel 1886 e non v' è dubbio che influenza non solo le arti figurative, ma la letteratura e la musica, e i suoi echi rintoccano anche nella filosofia. Un nuovo sentimento della natura, un ritorno ai temi eterni del vivere quotidiano (la vita e la morte, lo scorrere delle stagioni e delle ore del giorno, le funzioni religiose) scardinano le gabbie del realismo sociale. La mostra è scandita in sei sezioni tematiche: della prima s' è detto, la seconda è dedicata ai protagonisti che conosciamo in intensi autoritratti in cui spiccano quelli di Giuseppe Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati, che di questa stagione sono mallo, ma anche degli eredi più tardi Giulio Aristide Sartorio, Galileo Chini, Alberto Martini, a cui fa da contrappunto il bellissimo autoritratto di Franz Stuck (ma anche Il Peccato, 1909, è un ritratto) che lega il filo con Vienna e la Secessione. Di Segantini c' è il busto di Troubetzkoy, il pittore di Arco era un gigante, dalla folta barba, che vagabondava tra i monti dell'Engadina. Il paesaggio, a cui è dedicata la terza sezione, ebbe posto rilevantissimo nella compagine simbolista: per Henri-Frédérich Amiel infatti il paesaggio "è uno stato dell'anima", non tanto quello realista e divisionista di Segantini, quanto piuttosto La passeggiata amorosa e soprattutto La neve, 1906, di Pellizza, o il piccolo e toccante Monta la nebbia dalla valle (1895) di Grubicy, parte delle sei tele che il pittore, il più colto e sprovincializzato della compagine, aveva dedicato al paese di Miazzina. Il paesaggio è ben visibile, ma esso scompare nella nebbia e lascia in evidenza solo alberi scheletriti in primo piano e le creste dei monti sul fondo. Il Chiaro di Luna, 1888-' 92, di Previati, ha un'impostazione tardo romantica e ispirato a una celebre sonata di Chopin: nel buio emerge una lunga balaustra e su un sedile si scorge una figura femminile, l'abito ne avvolge il corpo mentre la testa appena si scorge. La superficie pittorica rivela i tratti di una campitura scandita in momenti diversi, considerato il tempo trascorso tra la statura d' inizio e quella finale. Un quadro intensoe misterioso nella sua enigmaticità in cui tra sentimento e natura è impossibile distinguere. Al mistero della vita e al mito sono dedicate due sezioni. Nella prima un tristissimo interno è Giorno di festa all'albergo Trivulzio, 1892, di Angelo Morbelli, dove quattro vecchi si accasciano sulle panche dell'ospizio. Qui il sociale zoliano emerge con drammaticità. In area novecentesca Le vecchie di Casorati, gli Affetti di Balla, la Madre che cuce di Boccioni che ci dicono come il simbolismo sia radice di novecentismo e futurismo alle porte. Nel Sogno (Paolo e Francesca) il giovane Boccioni ha molti debiti con l'arte francese, mentre Previati con il suo Sogno, 1912, e Il giorno sveglia la notte con tenerezza, si spinge verso Edgar A. Poe dei Racconti straordinari che il pittore illustrò tra il 189790. È evidente che i legami con la letteratura contemporanea sono continui: il bel saggio di Mazzocca su D' Annunzio e il riproposto testo pascoliano di Sisi ne danno conto nel catalogo Marsilio. Nella sezione Eros e Thanatos hanno largo spazio i dannunziani Sartorio (storicista), Adolfo De Carolis, Chini liberty: sezione nella quale trova posto l'eros di Salomè di Gustav Klimt. Chiude la sala dedicata al sogno alla Biennale di Venezia del 1907. Un suggello alla stagione del Simbolismo. |
L'Opera n. 46
"Persa nell'abbacinante vastità di una landa alpina, una donna, bella come una statua di marmo, è impigliata coi capelli ai rami di un albero. Il candore della neve la imbozzola in una gelida solitudine. L'albero è secco, tutto è immobile, cristallizzato. Nessun soccorso in vista: la foresta di alberi scheletriti prosegue sullo sfondo e una chiostra di monti sigilla l'orizzonte. È un mondo rarefatto e spettrale, come sotto un incantesimo maligno. Dal ramo però fiorisce una testa di bimbo. È un albero magico - che racchiude un essere vivente, come il cespuglio di Polidoro o quello che parla a Dante con la voce di Pier delle Vigne. L'albero non è morto come sembra: lo abita un neonato. Con le labbra succhia il seno della donna. Lei si contorce. Il suo corpo ripete la forma altrettanto contorta dell'albero, generando un movimento contrario, un'onda gravida che s'incurva verso sinistra." (Di Melania Mazzucco)
L'Autore
Giovanni Segantino
BiografiaGiovanni Segantini nasce ad Arco in provincia di Trento il 15 gennaio 1858.
Tra il 1858 ed il 1865, la vita di Segantini è travagliata da eventi drammatici e dalle precarie condizioni economiche della famiglia. Nel 1865, in seguito alla morte della moglie, Agostino Segantini conduce il figlio a Milano e lo lascia in custodia della figlia di primo letto Irene. Durante la giornata Giovanni conduce una vita solitaria finchè nel 1870 viene rinchiuso al riformatorio "Marchiondi" per vagabondaggio e inserito presso la sezione artigianale calzaturiera dell'istituto. Nel 1871 tenta una fuga che si conclude con il rientro al riformatorio, dove resterà fino al 1873. Viene infine affidato al fratellastro Napoleone residente a Borgo Valsugana dove possiede un laboratorio fotografico. Per qualche anno Segantini svolge le mansioni di apprendista garzone. Alla fine del 1874 torna a Milano, si iscrive ai corsi serali dell'Accademia di Belle Arti di Brera che frequenta fino al 1877. Durante il giorno lavora presso la bottega dell'artigiano decoratore Luigi Tettamanzi e insegna disegno presso l'istituto "Marchiondi". Dal 1878 al 1879 frequenta i corsi regolari all'Accademia di Brera, segue le lezioni di Giuseppe Bertini e stringe amicizia con Emilio Longoni. Le sue prime opere risentono dell'impostazione del verismo lombardo imperante allora nell'ambito accademico. Durante l'esposizione nazionale di Brera del 1879 viene notato dalla critica milanese che ne riconosce il talento. Incontra in quell'occasione anche Vittore Grubicy col quale instaura un rapporto d'amicizia e di lavoro destinato a durare per lungo tempo. Nel 1880 si unisce a Bice Bugatti che rimarrà la sua compagna per tutta la vita e si trasferisce con lei a Pusiano in Brianza con il sostegno finanziario di Vittore Grubicy. Due anni dopo è a Carella, un altro paese della Brianza. Fino al 1884 Emilio Longoni, pure stipendiato da Grubicy, segue Segantini nei suoi frequenti spostamenti. Le opere del periodo brianzolo sono rivolte al superamento dell'impostazione accademica della formazione, che sarà superata negli anni a venire. Nel 1883 viene sottoscritto dall'artista un contratto che lo vincola definitivamente all'organizzazione di Grubicy. Nel 1886 si stabilisce a Savognino e spinto da Grubicy comincia il progressivo avvicinamento alla tecnica divisionista, prima con alcune sperimentazioni e in seguito con un'adesione totale. Dal 1886 al 1888 la sua fama si consolida per mezzo dell'attività promozionale dei fratelli Grubicy che lo presentano all'Italian Exhibition di Londra nel 1888. L'artista accresce i suoi interessi anche a livello culturale e comincia a collaborare a riviste d'arte. Dal 1889 dipinge le prime opere a orientamento simbolico che si manifesterà in seguito con vere e proprie allegorie, sempre più legate agli esempi nordici. Nel 1894 è costretto a lasciare Savognino per spostarsi in Engandina al Maloja. Le opere di quest'ultimo periodo risentono della particolare situazione di isolamento in cui Segantini si trova. I luoghi incontaminati intensificano il suo innato misticismo. Dal 1896 trascorre le stagioni invernali a Soglio in Val Bregaglia e soggiorna per qualche tempo a Milano. Ha inizio in quell'anno un progetto ambizioso che lo vede impegnato nella realizzazione del padiglione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1900. L'iniziativa viene infine ridotta, per mancanza di fondi, alla sola rappresentazione del "Trittico della Natura". Il 28 settembre del 1899 muore per un attacco di peritonite.Bibliografia: A.-P. Quinsac, Segantini, catalogo generale, Milano 1982; G.Belli, A.-P.Quinsac (a cura di) Segantini, catalogo della mostra, Palazzo delle Albere, Trento 1987. Le opere
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