"Lirica" di Kandinsky
Kandinsky:la pittura è emozione.
Cavalli e cerchi. Anche se Kandinsky non avesse dipinto altri quadri, per me sarebbe tutto. Li metterei tutti intorno a me, come facevano i Sirieni della Vologda nelle loro izbe. Quando le vide, nel 1889, Kandinsky era ancora un ventitreenne avvocato moscovita, figlio di un commerciante di tè di origine siberiana e di una aristocratica, travestito da etnografo studioso di diritto rurale, ignaro di quanto avrebbe cambiato l'arte moderna e se stesso: ma le pareti sgargianti di quella baita, tappezzate di pitture, gli rivelarono la bellezza pura dei colori. Dei Sirieni non sapeva niente. Né io di lui, quando ho scoperto i suoi cavalli, che mi chiamavano alla libertà, e i suoi cerchi, capaci di provocarmi
una vertigine. La stessa dei mosaici delle moschee islamiche. I calligrammi sinuosi si arrampicano sulle piastrelle della cupola, attirandoti irresistibilmente verso l'alto. E tu vieni rapito, anche se sei consapevole che quei segni non sono ghirigori di colore, ma lettere di un alfabeto ignoto, portatrici di un messaggio sacro. Non puoi comprendere ciò che significano davvero. E tuttavia in qualche modo il loro senso ulteriore non ti è precluso - ma anzi ti si svela. L'esperienza della visione di un quadro astratto di Kandinsky - la contemplazione di una forma pura - è analoga. E così deve essere. Ce lo spiega lui stesso, nei suoi testi teorici. Kandinsky infatti è uno scrittore non meno che un pittore, e un filosofo oltre che un colorista. Non ha mai smesso di interrogarsi sul significato dell'arte - anche della sua. Ha detto che negli anni Venti e Trenta si interessava ai cerchi come un tempo ai cavalli. È stato come se mi avesse svelato il codice del linguaggio segreto. E perché il cavallo di Rotterdam suona esattamente come i suoi cerchi rossi, rosa o neri - pianeti ardenti o spenti su cieli di pittura - degli anni del Bauhaus. Il cavallo di Rotterdam, intitolato Lirica, è una delle sue opere "di transizione". Perché, pur avendo nel 1910 già dipinto il suo primo olio interamente astratto, ancora per qualche tempo Kandinsky lasciò che gli oggetti del mondo esterno affiorassero - parzialmente riconoscibili - sulle sue tele. Forse a beneficio dei futuri spettatori - che voleva educare a comprendere, giacché in lui bruciava un'irresistibile vocazione profetica. Ma anche perché già sapeva che il vero contenuto di un quadro non è ciò che rappresenta, ma l'emozione che comunica. E il 1911 di Lirica può essere definito il suo "anno del cavallo". Il tema del cavallo e del cavaliere era antico e universale come la pittura stessa. Legato alle fiabe, al folclore, al cristianesimo (a cavallo San Giorgio combatte col drago, e San Martino divide col povero il suo mantello). Era privato e autobiografico, dal momento che un cavallo (di latta) abitava i suoi più remoti ricordi d'infanzia. Era simbolico e magico (la lotta contro il Male e il Caos). Era anche un tema caro alla pittura moderna: basti pensare ai fantini di Degas. Kandinsky aveva seminato cavalli e cavalieri ovunque, anche nelle Improvvisazioni e nelle Composizioni. Ma quella figura, come un ideogramma del transitorio, era già soltanto sinonimo di slancio in avanti, cambiamento. "Il cavaliere azzurro" (Der Blaue Reiter) era il nome che aveva appena scelto, insieme al giovane amico Franz Marc, per l'almanacco artistico che preparò nel corso dell'estate per farne il manifesto dell'arte nuova. A quel tempo viveva a Monaco e d'estate soggiornava a Murnau, sulle Alpi bavaresi. Era già convinto che la pittura non deve essere pittura del visibile - replica, riproduzione, imitazione di oggetti esistenti nel mondo. L'arte non può che essere astratta e dipingere l'Interno, l'invisibile - cioè la vita stessa. E la vita è l'oggetto di Lirica. Non c'è profondità né paesaggio: solo una superficie solcata da una linea nera ruggente. Quella linea è il cavallo. Il cavaliere è ormai solo un cerchio giallo e un semicerchio verde. Gli alberi, tratti grafici che sembrano dipinti a inchiostro di china; la terra un globo viola-blu, il cielo una striscia. L'economia delle forme non deve ingannare. Kandinsky aveva già scritto in russo e stava traducendo in tedesco Lo spirituale nell'arte, che avrebbe pubblicato in dicembre - attirando subito l'attenzione di tutti i pittori che non potevano non dirsi moderni. Già conosceva il potere quasi magico dei colori, e a quale vibrazione interiore corrispondono, e li distillò dalla tavolozza di conseguenza. Il bianco è silenzio. È sprovvisto di forza attiva, ma è la possibilità che precede ogni nascita e ogni inizio: ed è nel silenzio che si leva il grido della corsa. Il verde ha una potenzialità intrinseca di dinamismo. Il blu placa, calma, richiama l'uomo verso l'infinito, suscitando in lui la nostalgia della purezza e del trascendente. Un cerchio blu fa l'effetto di allontanarsi dallo spettatore: dunque quella tonda massa nell'angolo destro del quadro aumenta l'effetto di velocità che trascina il cavallo nella direzione opposta. Ma perché il titolo, Lirica? Kandinsky sostiene che il lirismo è il pathos di una forza la cui espansione non conosce ostacoli. La lirica si realizza quando la linea retta procede senza incontrare una forza che vi si oppone. Quando sono presenti forze contrarie, che generano perciò conflitto (come una curva o una linea spezzata), ci troviamo in un dramma. Sulla superficie di un quadro, una forma che sale acquista leggerezza. Una linea che si sposta verso sinistra va verso la lontananza, l'avventura, l'infinito. Una linea che si sposta verso destra viene letta invece come ritorno - a casa, all'origine. Qui d'un balzo viene scavalcata la perpendicolare che intralcia la fuga del cavallo, e nulla ostacola più la sua ascesa. Lo scatto e il movimento ignorano tragitto, mèta e distanza, e comunicano solo la travolgente energia della vita. Kandinsky direbbe che Lirica ha un suono squillante, che nulla vela. Quando non si conosce lo scopo pratico di un movimento (dove sta andando il cavallo?), esso agisce su di noi come qualcosa di misterioso, spirituale. Cos'altro è la vita se non movimento - esperienza, conoscenza e accrescimento di sé? Ha ragione. Questo quadro trasmette benessere: mi rende felice. |
L'Opera n. 22
"... Il cavallo di Rotterdam, intitolato Lirica, è una delle sue opere 'di transizione'. Perché, pur avendo nel 1910 già dipinto il suo primo olio interamente astratto, ancora per qualche tempo Kandinsky lasciò che gli oggetti del mondo esterno affiorassero - parzialmente riconoscibili - sulle sue tele. Forse a beneficio dei futuri spettatori - che voleva educare a comprendere, giacché in lui bruciava un'irresistibile vocazione profetica. Ma anche perché già sapeva che il vero contenuto di un quadro non è ciò che rappresenta, ma l'emozione che comunica. E il 1911 di Lirica può essere definito il suo 'anno del cavallo' ".
(Melania Mazzucco) L'Artista
Da un articolo di Fabrizio D'Amico per "Repubblica", una sintesi sul significato della pittura di Kandinsky
Ridurre la realtà "a una sensazione dell'essenza delle cose", secondo quanto scriverà proprio nel 1911 la compagna di Kandinsky, Gabriele Munter; toglierle la sua scorza di casuali accidenti, i suoi orpelli di canonica bellezza, e renderla, insieme, più nuda e più ricca di verità profonde, negate allo sguardo.
Fu Kandinsky, da solo, a fare il passo ulteriore: lui che pur avrebbe scritto - straordinariamente - che fra "grande astrazione" e "grande realismo" non poteva correre una gerarchia, ma solo, a orientare infine la scelta, doveva intervenire "il desiderio interiore dell'artista". Lui, che orienterà infine il suo "desiderio" verso una totale libertà dal referente di natura: quando, dopo aver a lungo cercato la sua immagine in un territorio di confine tra una forma interamente astratta e un'altra densa ancora di memorie figurali, sceglierà infine per sé un'ultima liberazione dal vincolo dell'imitazione. Ma senza che, per questo soltanto, i suoi spazi da allora in poi vorticanti, battuti da un vento che travolge ogni sintassi conosciuta, folgorati da un colore acceso, gioioso, imprudente (che fa tesoro di Matisse come delle conquiste del primo espressionismo tedesco) siano una tappa indimenticabile del moderno: e piuttosto, invece, per quella capacità che egli ebbe di dar figura a quel groppo unito di sensi e di pensieri, di sogno e di urgenze esistenziali, che chiamò "lo spirituale dell'arte", e che è il modo in cui tutte le ragioni della vita, e non solo le più nitidamente oggettivabili, si dànno compresenti nell'immagine. Un mondo di linee e colori.
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"La spiritualità nell'arte".
Kandinskij, nelle sue opere, espone le sue teorie sull'uso del colore, intravedendo un nesso strettissimo tra opera d'arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un "effetto fisico", superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro; un "effetto psichico" dovuto alla vibrazione spirituale (prodotta dalla forza psichica dell'uomo) attraverso cui il colore raggiunge l'anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi. L'effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Perciò il rosso, ad esempio, risveglia in noi l'emozione del dolore, non per un'associazione di idee (rosso-sangue-dolore), ma per le sue proprie caratteristiche, per il suo "suono interiore". Kandinskij utilizza una metafora musicale per spiegare quest'effetto: il colore è il tasto, l'occhio è il martelletto, l'anima è un pianoforte con molte corde.
Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro "suoni" principali possono essere combinati tra loro: caldo-chiaro, caldo-scuro, freddo-chiaro, freddo-scuro. Il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l'azzurro. Alle polarità caldo-freddo Kandinskij attribuisce un doppio movimento: uno "orizzontale" ed uno "radiante". Il giallo è dotato di un movimento radiante che lo fa avanzare verso lo spettatore rispetto al piano in cui è fisicamente, inoltre è dotato di un movimento eccentrico-centrifugo perché si allarga verso l'esterno, abbaglia, respinge. L'azzurro è dotato di un movimento orizzontale che lo fa indietreggiare dallo spettatore ed è dotato di un movimento concentrico-centripeto perché si avvolge su sé stesso, esso creando un effetto di immersione attira lo spettatore.
Kandinskij, sempre in base alla teoria secondo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell'interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a strumenti musicali. Egli si occupa dei colori primari (giallo, blu, rosso) e poi di colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzerà anche le proprietà di marrone, grigio e arancione.
Il giallo è dotato di una follia vitale, prorompente, di un'irrazionalità cieca; viene paragonato al suono di una tromba, di una fanfara. Il giallo indica anche eccitazione quindi può essere accostato spesso al rosso ma si differenzia da quest'ultimo.
L'azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante, come un cielo artistico; è paragonabile al suono di un flauto. Inoltre il blu scuro viene paragonato al suono di un organo.
Il rosso è caldo, vitale, vivace, irrequieto ma diverso dal giallo, perché non ha la sua superficialità. L'energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è chiaro e tendente al giallo, più ha vitalità, energia. Il rosso medio è profondo, il rosso scuro è più meditativo. È paragonato al suono di una tuba.
L'arancione esprime energia, movimento, e più è vicino alle tonalità del giallo, più è superficiale; è paragonabile al suono di una campana o di un contralto.
Il verde è assoluta mobilità in una assoluta quiete, fa annoiare, suggerisce opulenza, compiacimento, è una quiete appagata, appena vira verso il giallo acquista energia, giocosità. Con il blu diventa pensieroso, attivo. Ha i toni ampi, caldi, semigravi del violino.
Il viola, come l'arancione, è instabile ed è molto difficile utilizzarlo nella fascia intermedia tra rosso e blu. È paragonabile al corno inglese, alla zampogna, al fagotto.
Il blu è il colore del cielo, è profondo; quando è intenso suggerisce quiete, quando tende al nero è fortemente drammatico, quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell'azzurro, se viene mischiato con il giallo lo rende malto, ed è come se la follia del giallo divenisse "ipocondria". In genere è associato al suono del violoncello.
Il grigio è l'equivalente del verde, ugualmente statico, indica quiete, ma mentre nel verde è presente, seppur paralizzata, l'energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde facendogli recuperare vibrazione, nel grigio c'è assoluta mancanza di movimento, che esso volga verso il bianco o verso il nero.
Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso, ma essendo l'energia di quest'ultimo fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico.
Il bianco è dato dalla somma (convenzionale) di tutti i colori dell'iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi, di fatto è un muro di silenzio assoluto, interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità; è la pausa tra una battuta e l'altra di un'esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni.
Il nero è mancanza di luce, è un non-colore, è spento come un rogo arso completamente. È un silenzio di morte; è la pausa finale di un'esecuzione musicale, tuttavia a differenza del bianco (in cui il colore che vi è già contenuto è flebile) fa risaltare qualsiasi colore.
La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. L'accostamento tra forma e colore è basato sul rapporto privilegiato tra singole forme e singoli colori. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato.
Molto importante è anche l'orientamento delle forme sulla superficie pittorica, ad esempio, il quadrato su un lato è solido, consapevole, statico; su un vertice (losanga) è instabile e gli si assocerà un rosso caldo, non uno freddo e meditativo. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente estetiche ed esteriori, piuttosto deve essere coerente al principio della necessità interiore: quella che l'autore chiama onestà. Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è ciò che risponde ad una necessità interiore, che l'artista sente come tale.
Kandinskij, nelle sue opere, espone le sue teorie sull'uso del colore, intravedendo un nesso strettissimo tra opera d'arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un "effetto fisico", superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro; un "effetto psichico" dovuto alla vibrazione spirituale (prodotta dalla forza psichica dell'uomo) attraverso cui il colore raggiunge l'anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi. L'effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Perciò il rosso, ad esempio, risveglia in noi l'emozione del dolore, non per un'associazione di idee (rosso-sangue-dolore), ma per le sue proprie caratteristiche, per il suo "suono interiore". Kandinskij utilizza una metafora musicale per spiegare quest'effetto: il colore è il tasto, l'occhio è il martelletto, l'anima è un pianoforte con molte corde.
Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro "suoni" principali possono essere combinati tra loro: caldo-chiaro, caldo-scuro, freddo-chiaro, freddo-scuro. Il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l'azzurro. Alle polarità caldo-freddo Kandinskij attribuisce un doppio movimento: uno "orizzontale" ed uno "radiante". Il giallo è dotato di un movimento radiante che lo fa avanzare verso lo spettatore rispetto al piano in cui è fisicamente, inoltre è dotato di un movimento eccentrico-centrifugo perché si allarga verso l'esterno, abbaglia, respinge. L'azzurro è dotato di un movimento orizzontale che lo fa indietreggiare dallo spettatore ed è dotato di un movimento concentrico-centripeto perché si avvolge su sé stesso, esso creando un effetto di immersione attira lo spettatore.
Kandinskij, sempre in base alla teoria secondo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell'interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a strumenti musicali. Egli si occupa dei colori primari (giallo, blu, rosso) e poi di colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzerà anche le proprietà di marrone, grigio e arancione.
Il giallo è dotato di una follia vitale, prorompente, di un'irrazionalità cieca; viene paragonato al suono di una tromba, di una fanfara. Il giallo indica anche eccitazione quindi può essere accostato spesso al rosso ma si differenzia da quest'ultimo.
L'azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante, come un cielo artistico; è paragonabile al suono di un flauto. Inoltre il blu scuro viene paragonato al suono di un organo.
Il rosso è caldo, vitale, vivace, irrequieto ma diverso dal giallo, perché non ha la sua superficialità. L'energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è chiaro e tendente al giallo, più ha vitalità, energia. Il rosso medio è profondo, il rosso scuro è più meditativo. È paragonato al suono di una tuba.
L'arancione esprime energia, movimento, e più è vicino alle tonalità del giallo, più è superficiale; è paragonabile al suono di una campana o di un contralto.
Il verde è assoluta mobilità in una assoluta quiete, fa annoiare, suggerisce opulenza, compiacimento, è una quiete appagata, appena vira verso il giallo acquista energia, giocosità. Con il blu diventa pensieroso, attivo. Ha i toni ampi, caldi, semigravi del violino.
Il viola, come l'arancione, è instabile ed è molto difficile utilizzarlo nella fascia intermedia tra rosso e blu. È paragonabile al corno inglese, alla zampogna, al fagotto.
Il blu è il colore del cielo, è profondo; quando è intenso suggerisce quiete, quando tende al nero è fortemente drammatico, quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell'azzurro, se viene mischiato con il giallo lo rende malto, ed è come se la follia del giallo divenisse "ipocondria". In genere è associato al suono del violoncello.
Il grigio è l'equivalente del verde, ugualmente statico, indica quiete, ma mentre nel verde è presente, seppur paralizzata, l'energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde facendogli recuperare vibrazione, nel grigio c'è assoluta mancanza di movimento, che esso volga verso il bianco o verso il nero.
Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso, ma essendo l'energia di quest'ultimo fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico.
Il bianco è dato dalla somma (convenzionale) di tutti i colori dell'iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi, di fatto è un muro di silenzio assoluto, interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità; è la pausa tra una battuta e l'altra di un'esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni.
Il nero è mancanza di luce, è un non-colore, è spento come un rogo arso completamente. È un silenzio di morte; è la pausa finale di un'esecuzione musicale, tuttavia a differenza del bianco (in cui il colore che vi è già contenuto è flebile) fa risaltare qualsiasi colore.
La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. L'accostamento tra forma e colore è basato sul rapporto privilegiato tra singole forme e singoli colori. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato.
Molto importante è anche l'orientamento delle forme sulla superficie pittorica, ad esempio, il quadrato su un lato è solido, consapevole, statico; su un vertice (losanga) è instabile e gli si assocerà un rosso caldo, non uno freddo e meditativo. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente estetiche ed esteriori, piuttosto deve essere coerente al principio della necessità interiore: quella che l'autore chiama onestà. Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è ciò che risponde ad una necessità interiore, che l'artista sente come tale.