"Sol Invictus" di Kiefer
Anche il titolo, Sol Invictus - come recita la scritta a matita nel bordo superiore - suona trionfante. Anselm Kiefer inserisce spesso parole nelle sue opere. Motti, versi, nomi che citano liriche, luoghi, poeti, miti e dei babilonesi, egizi, classici o nordici. La scrittura, sempre di suo pugno, svolge una funzione ambigua - ironica e dissacrante, oppure solenne, perfino mistica. Offre dell'immagine una chiave di lettura inattesa, talvolta disorientante. Ma le lettere sono anche puri segni, che hanno una funzione sciamanica - come formule magiche, l'abracadabra dell'officiante. Sol Invictus (Sole invitto) rimanda ai culti solari della tarda epoca pagana - a Eliogabalo, a Mitra. È associato alla festa della vittoria della luce sulle tenebre e alle dottrine dell'eterno ritorno.
Kiefer, tedesco, nostro contemporaneo - nato nell'anno della fine della Seconda guerra mondiale e di Hiroshima - ha sempre creato opere d'impatto emotivo immediato, nonostante la complessità concettuale e quasi esoterica che le alimenta. Esperto di cabala e alchimia, ma interessato anche alle scienze (dalla botanica alla fisica nucleare), nella sua opera non ha eluso temi considerati tabù nella seconda metà del XX secolo - la storia tedesca, l'opprimente memoria del nazismo, lo sterminio del popolo ebraico, le eterne domande sull'uomo, la colpa, la morte, Dio. Non si è mai considerato "solo" un pittore, e lavora con la materia e le sue metamorfosi. Come gli alchimisti volevano accelerare la trasmutazione dei metalli vili in oro, così lui ha dipinto e operato col piombo, col fuoco, col sale, con l'acqua, con l'aria e con la cenere - e ha definito questo la sua "magia". Ogni cosa, ogni forma, ogni essere, può diventare altro, e rigenerarsi. Per tradurre ciò in un discorso visivo, Kiefer ha usato di tutto - minerali, vegetali, architetture. Rottami di motori d'aeroplano, eliche, vetro, mattoni, stufe, paglia, sabbia, peli, unghie, sperma, sci e scarpe di ferro. Il trionfo dell’ambiguità
Ha dipinto serpenti, angeli, libri, sterili paesaggi di neve, edifici nazisti arsi dalle fiamme, forni, crogioli, sommergibili, astri, rotaie di treni, parallele che s'incontrano all'infinito e le cui traversine potrebbero essere anche pioli di scale celesti. Ma soprattutto, dopo la prima irrelata apparizione nel 1971 (l'acquerello Uomo disteso con ramo), dal 1995 più volte ha dipinto - o composto con altri materiali - questa stessa scena: una forma verticale accanto al (o dentro il) corpo orizzontale di un uomo. Così essa è divenuta un'immagine ricorrente, che ha progressivamente moltiplicato le sue risonanze simboliche.
La forma verticale può essere una scala che unisce la terra al cielo (come ne Il sogno di Giacobbe del 1996), una linea dal tratto spezzato, o un albero. Ma preferibilmente è un girasole - un unico esemplare o un campo intero (come in Aschenblume, Fiore di cenere, titolo che cita una poesia di Paul Celan, e in L'ordine della notte). Il fiore può nascere dalla mente dell'uomo, dalla sua linfa vitale, dai suoi organi, dal suo sesso o dal suo ombelico. Le forme possono galleggiare in uno spazio neutro e onirico, oppure essere gettate su un suolo d'argilla screpolata, sotto un cielo scuro di nuvole o brulicante di stelle. In Athanor, una delle ultime varianti, del 2007, Kiefer inscrive le tre parole chiave del processo alchemico: "nigredo, rubedo, albedo". Come se volesse esplicitare la sua fonte e il vero soggetto dell'immagine. Sol Invictus si svela allora come una meditazione sulle leggi della natura, la rappresentazione di un passaggio da uno stato all'altro: il corpo dell'uomo è una membrana che connette macro e microcosmo, da cui passano morte e rinascita. Insomma, un rituale alchemico di resurrezione. A guardare meglio, l'uomo disteso che si abbandona al flusso della vita è sempre lo stesso. Benché sia nudo, non è chiunque. Ha le sembianze di un individuo specifico: Kiefer. È ripreso da una fotografia di parecchi anni prima che lo raffigura mentre medita nella posizione yoga del "cadavere". L'informazione aiuta a decifrare le sue intenzioni, poiché Kiefer maneggia la filosofia e la letteratura con la stessa perizia con cui cauterizza i supporti e sceglie pigmenti, materiali, e dimensioni (spesso, come in questo caso, monumentali, gigantesche). Ma nello stesso tempo è pleonastica. In età moderna, per i pittori - ne fossero consapevoli o ignari - il girasole è un'immagine dell'artista. Il fascino misterioso dei girasoli di Van Gogh (idolatrato da Kiefer nella sua adolescenza), o di quelli macilenti di Schiele, nasce anche da questo. Fiore non ornamentale, ma agricolo, utile come un albero da frutto, il girasole ha radici nella terra, eppure si muove inseguendo la luce. Non è prigioniero del luogo in cui sboccia, ma usa il suolo e l'atmosfera che lo circonda per crescere. Fuor di metafora, partecipa della storia, del tempo in cui gli è dato vivere. Ruota su se stesso, per nutrirsi di sole, e tutto lo aumenta. Si dissecca, ma anche il suo annientamento genera forza creatrice: diventa seme da cui nasceranno altri fiori, liquido, vita. Per me nessuno ha saputo come Kiefer esprimere questa fiera visione del ruolo dell'artista e dell'essere umano con un'immagine così naturale e così potente. Chiamatela pure poesia, o magia. “Uccidete l’arte: rinascerà”
Dall'archivio di "Repubblica", un testo in cui Anselm Kiefer racconta il suo modo di vedere l'opera. E di realizzarla
IQuando, lavorando a un quadro, non so più a che punto sono né dove sto andando, quando sono in panne, mi dirigo verso la macchina per scrivere e scrivo "qualcosa". Quello scritto ha per me una funzione di soccorso; mi protegge riportandomi all'essenziale. La nascita di un quadro risponde a un processo complesso, e i miei umori cambiano incessantemente nel corso della sua elaborazione. All'inizio passo per stati "fisici" in cui mi sento come rinchiuso nella materia del quadro, faccio tutt' uno con l'esistente. Comincia nell'oscurità, in una sorta di urgenza, una palpitazione. All'inizio ignoro quello che ciò significa, però esso mi spinge ad agire. Allora sono nella materia, nel colore, nella sabbia, nell'argilla, nell'accecamento dell'istante, senza distanza. Ciò che si attua più da vicino, la testa quasi nel colore, quel "qualcosa" informe, è paradossalmente il più preciso. Poi prendo la rincorsa e tento di vedere, di distinguere quel cheè davantia me; dopo, mi chiedo come proseguire il lavoro con ciò che è già stato fatto. Ormai ho un faccia a faccia con cui confrontarmi. Posso confrontarmi con qualcosa che è là, all'esterno, davanti a me. Il quadro è là, e io sono qui nel quadro. A quello stato subentra immediatamente la delusione, un senso di mancanza. E tale mancanza non viene da quanto non avrei visto o avrei omesso di svelare. Tale mancanza non può essere colmata con l'aiuto di nessun'altra forma. A quel punto potrò riuscire solo facendo riferimento ad altri elementi, tutti altrettanto incerti, che possono essere storici, figurativi o di tutt' altra natura. È un fatto, il quadro assume il mondo a oggetto; è così che si concretizza. Quando è diventato oggetto esso stesso, lo espongo all'aria aperta, al vento e alla pioggia. Mi appello alla natura, che non è redentrice, perché mi aiuti a terminarlo. Ma non c' è solo la natura ad aiutarmi. Anche il linguaggio può farlo. So distinguere un'opera d' arte da un oggetto di artigianato o di design in maniera apodittica, ex cathedra. Ma posso spiegarlo o inculcarlo in altri? No, perché ci saranno sempre degli individui per i quali certe cose sono arte e altre no. Per molti di loro, la moda nell'abbigliamento rientra nell'arte allo stesso titolo di un quadro, un'azione o un'installazione, e lo affermano in maniera perentoria. Poiché, in società, solo l'affermazione costituisce autorità. In quest' ambito non esiste dottrina dominante, né opinione universalmente valida. Io decido e affermo cosa appartiene all'arte e la mia affermazione diventa incontestabile. Succeda quel che deve succedere! Dobbiamo tener conto che un'opera d' arte può distruggerne un'altra. Per convincercene, riflettiamo sugli stili pittorici, su come l'impressionismo sia succeduto alla pittura accademica, e poi sua volta sia stato detronizzato dall'astrattismo... Ogni corrente artistica è nata dall'imperiosa volontà di reagire contro l'estetica dominante. Come regola generale, e per una sorta di immunità naturale nei propri confronti, l'arte si erge costantemente contro se stessa. Sembra poter esistere solo attraverso la propria negazione. Sottoposta all'autodistruzione, a quel "volere il male", paradossalmente procura il bene. Ma è concepibile che quest' attacco dell'arte a se stessa sia violento a tal punto che un giorno essa non se ne risollevi e scompaia per sempre? L'arte è permanentemente sottopostaa due tipi di aggressione radicalmente diversi e che, nonostante le loro peculiarità, si congiungono in uno strano modo. L'aggressione che potremmo definire "fatta in casa" è l'aggressione immanente all'arte, che, così come la sua reazione autoimmune, la ingloba in una forma di antiattitudine, respingendola ai margini dell'esistenza. Si dimostrò molto virulenta nei futuristi, in particolare in Ballao Severini che volevano sradicare tutto, arrivandoa preconizzare la distruzione dei musei. E ciò costituì una reale minaccia per il futuro. Infatti l'atto iconoclasta, inizialmente avanguardista, persino rivoluzionario, era diventato una finalità in sé, una strategia di marketing, né più né meno. Un'altra aggressione è percettibile da poco. Proviene dall'universo della moda e da quello del design, che parassitano l'arte impiegando le proprie strategie e ciò facendo la impoveriscono, la volgarizzano. Noi desidereremmo creare qualcosa che fosse al tempo stesso l'inizio e la fine. Ci piacerebbe giungere a quel punto culmine a partire dal quale, da una parte e dall'altra, tutto scende in verticale, e dove la più grande difficoltà è sempre quella di rimanervi. Ciò è impossibile, perché segue sempre la caduta, inevitabile, la scomparsa, che si producano in un alone dorato o nel nulla. Ma, come abbiamo visto in precedenza, l'autodistruzione è sempre stata lo scopo più intimo, più sublime dell'arte, la cui vanità diventa allora percettibile. Infatti, qualunque sia la forza dell'attacco, e anche quando abbia raggiunto i suoi limiti, l'arte sopravvivrà alle proprie rovine. Nel corso della realizzazione di un quadro c' è sempre un momento in cui ci si dice che non vale niente. Il quadro in divenire, come l'essere, ha perso la sua forma definita per passare dallo stato di compiutezza verso il quasi niente. La tela e i colori sono lì..., e tuttavia esso ha già varcato una frontiera. Si è disfatto sullo sfondo omogeneo degli oggetti che lo circondano. Mi capita di fare questa constatazione il giorno dopo, arrivando allo studio. Mi dico che ho sbagliato strada, che ho condotto il progetto contro un muro. |
L'Opera n. 35
Un altissimo girasole incenerito dalla luce svetta in un universo desolato, bianco-grigio, astratto come un'immagine mentale e però materico e tattile come tutte le cose di questo mondo. Un uomo giace, disteso su un lenzuolo, nudo, come una vittima sacrificale, le braccia lungo i fianchi, i piedi contratti, raffigurato in scorcio. Il peso della carne lo sprofonda nella parte inferiore dell'immagine. Dorme, contempla o forse è morto (nella storia dell'arte, su ogni nudo in scorcio incombe il ricordo del
Cristo morto di Mantegna e Holbein). Il fiore invece, nonostante l'enorme corolla, è leggero. Si libra aereo sullo stelo sottile, quasi chino sul corpo esanime. Come se, sbocciato da quello, ne fosse l'ombra, il riflesso. L'insieme è malinconico, triste, come una liturgia funeraria. Lo spazio è abolito, l'uomo e il fiore spiccano nella loro solitudine. Eppure la slanciata verticalità del girasole comunica un movimento ascendente, e la miriade di punti neri - i semi che il girasole lascia cadere e che picchiettano la superficie - diventano un firmamento pulsante e vivo, una pioggia di stelle..Di Melania Mazzucco L'Autore
Biografia in breveAnselm Kiefer, una delle figure più importanti del movimento artisticoNeo-espressionista, nasce a Donaueschingen in Germania l'8 Marzo1945.
Nel 1965 intraprende studi di legge presso l'Università di Friburgo che abbandona l'anno dopo per studiare arte frequentando l'accademie d'arte a Friburgo, poi a Kunstakademie di Karlsruhe con la Horst Antes e a Dusseldorf, allievo dell'artista concettuale Joseph Beuys. E' proprio Joseph Beuys , che lo incoraggiato all'uso di enormi tele e ad inserire nei suoi lavori una serie di simboli visivi da cui poteva commentare con ironia e sarcasmo alcuni aspetti tragici della storia e della cultura tedesca, in particolare quella del periodo nazista. Nel 1969 Anselm Kiefer realizza un ciclo di opere denominate "Besetzungen" (Occupazioni): si fa fotografare, con il braccio alzato nel saluto di Hitler, dinnanzi a diversi luoghi che per lui assumono importanza dal punto di vista storico o mitologico. Parte della critica tedesca, che non capiscono il senso della sua pittura, lo accusa quale neo-nazista e per molti anni questa etichetta lo accompagnerà creandogli non pochi problemi dal punto di vista espositivo ed economico, mentre, altri critici, sempre tedeschi, ne esaltano il coraggio, per aver saputo mettere il dito nella piaga in quello che era stato l'incubo della Germania nazista. Nei dipinti di questo periodo Anselm Kiefer accosta disegni ingenui a colori cupi e grossolani che emozionano per le loro fantasiose allusioni al nazismo; nel 1970 dipinge anche una serie di scorci di paesaggio della cupa campagna tedesca, piena di solchi lungo una raggelante prospettiva lineare, altamente drammatiche. Nel 1971 il pittore si sposa e si stabilisce a Ornbach in un ex edificio scolastico che attrezza a studio e dove le austere travature in legno dell'attico diventano le protagoniste di grandi tele del 1973 (Deutschlands Geisteshelden, Germania eroica ). Attorno al 1974 la sua tecnica pittorica lo porta ad inserire nelle sue tele in sovrapposizione, spessi strati di colore, lacca e xilografie che realizza lui stesso. Negli anni Ottanta, dopo aver esposto nel padiglione tedesco della Biennale di Venezia il ciclo Verbrennen (Bruciare)-Verholzen (Lignificare)-Versenken (Lavare)-Versanden (Insabbiare), comincia a dipingere interni e paesaggi molto intensi e realisti, grazie all'utilizzo di dispositivi di prospettiva e l'incorporazione sulla superficie della tela dipinta di originali composizioni. Anche se per Kiefer il soggetto preferito dei suoi quadri è la storia della Germania Nazista, in quadri come "Interiors" (1981), la gamma dei suoi temi si amplia per includere riferimenti alla storia ebraica ed egizia, come nel grande dipinto "Osiride e Iside" (1985-87) . Tra la fine del 1987 e l'inizio del 1989 le opere di Kiefer sono state protagoniste di una lunga tournee di mostre negli USA: Chicago, Philadelphia, Los Angeles e New York ed alla fine anni '90, importanti retrospettive hanno luogo anche al Museo Correr di Venezia (1997) e alla Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea di Bologna (1999). Dagli anni '90 Anselm Kiefer divide il suo studio tra Buchen e Gerusalemme; dal 2000 l'artista è stato impegnato nella monumentale opera "I Sette Palazzi Celesti" che ha realizzato nella navata più grande all'interno del corpo centrale dell'HangarBicocca a Milano che ha aperto per la prima volta le porte al pubblico nel 2004. Ispirandosi alla mistica ebraica della Cabala, il libro della vita, l'artista ha creato sette torri monumentali in cemento armato e piombo, che simboleggiano l'esperienza mistica dell'ascensione attraverso i sette livelli di spiritualità. Emblemi della condizione umana, le torri di Kiefer sono insieme architetture reali, abitabili, diroccate dal tempo e dall'incuria degli uomini e dimenticate dalla storia. Le grandiose installazione dell'artista vengono realizzate in continuazione negli spazi museali di tutti i continenti. Il mondo secondo KieferLe opere |
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