"La Lattaia" di Jan Vermeer
In Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, lo scrittore Bergotte, al Jeu de Paume per una mostra di Vermeer, muore d'infarto mentre ammira la Veduta di Delft. Il minuscolo lembo di muro giallo, "dipinto così bene da far pensare a una preziosa opera d'arte cinese", gli sembra migliore di ogni sua frase: quella materia ricca di strati di colore l'unica bellezza per cui vale la pena vivere. Ma per me il più bel muro del mondo è quello che chiude insieme la cucina e il quadro nella Lattaia.
Una superficie rivestita di intonaco bianco crema - grezza e nuda come una pagina, o una tela. La lattaia apparteneva al principale committente e mecenate di Vermeer, Peter Claeszoon van Ruijven. Finì all'asta ad Amsterdam, nel 1696. Nel catalogo era descritta come "una cameriera che travasa il latte, eseguita alla perfezione, fiorini 175". Una cifra elevata ma non eccezionale. L'autore era stimato dai contemporanei, un bravo maestro, come tanti altri. Però solo la Veduta di Delft fu valutata di più. Vermeer ha dipinto poco. In 22 anni (morì giovane, a 43), 28 quadri certi, più 7 discussi. Nemmeno 2 all'anno, mentre i suoi colleghi arrivavano a 50. Non sappiamo se la parsimonia era dovuta a pigrizia di invenzione, nostalgia della perfezione, o alla malinconia. Ha dipinto quasi sempre giovani in un interno. Mai vecchi, neonati, animali, fiori. Ha raffigurato donne intente a scrivere o leggere lettere, ma non ne ha lasciata una. Di lui conosciamo quanto forma la trama di una vita - famiglia d'origine e propria, debiti, relazioni, malattia e morte - ma ci sfugge l'essenziale. In questa esistenza elusiva un'unica data conta: il 1653. Quell'anno, ventenne, Vermeer sposò Catharina Bolnes, giovane cattolica benestante che gli offrì le rendite della madre e l'agio della casa di lei sull'Oude Langendijk, e si iscrisse alla corporazione di san Luca, divenendo maestro pittore. Gli eventi della sua biografia - la nascita dei moltissimi figli, i rapporti coi colleghi, i successi, la crisi economica, perfino la guerra - non trovano spazio nella sua pittura, come accidenti senza eco. Separando la sua persona dall'opera, Vermeer si è annullato in essa. La lattaia ha braccia sode e corpo robusto. Non somiglia alle bambole di porcellana degli altri suoi dipinti, e neanche alle loro affettate cameriere. Indossa abiti da poco, il corpetto di camoscio giallo limone cucito grossolanamente, il tessuto logoro delle maniche rimboccate, la stoffa ruvida del grembiule blu, la cuffia sgualcita. Vermeer non ha mai più dipinto una donna di bassa estrazione sociale come lei. Solo donne e ragazze della borghesia (gli uomini gli divennero presto superflui) in occupazioni frivole - bere, suonare, provarsi gioielli. Popolana? No, Regina…
Forse usò come modella Tanneke Everpoel, la domestica della moglie, per anni al servizio dei Vermeer e a loro legata da non banale devozione: nel 1663, durante una lite, si lanciò sul fratello della signora (pazzo violento che finì i suoi giorni in una casa di correzione per delinquenti) impedendogli di piantarle la punta di ferro del bastone nel grembo. La moglie di Vermeer era incinta.
Ma Vermeer spersonalizza la lattaia, come tutti i suoi modelli, privi di identità e inespressivi come maschere. Malraux paragonò i loro volti enigmatici a quelli dei kouroi della Grecia arcaica. La lattaia deriva da altri quadri, perché Vermeer - idolatrato per la minuzia del dettaglio naturalistico - inventava invece non dalla realtà ma dall'arte. Commercianti, birrai, fornai e mercanti di Delft apprezzavano la pittura di genere: scenette ambientate in bordelli, cucine e salotti, che col pretesto di moralizzare descrivevano i costumi contemporanei. Esisteva una Lattaia di Gerrit Dou, "fine pittore" di Leida. Ma Vermeer andò a cercarsi il modello in una Regina Artemisia dell'italiano Domenico Fiasella: un quadro di storia. Era ancora giovane e non limitato dall'ambizione di essere considerato un gentiluomo: fece qualcosa di inaudito (e irripetibile). Diede alla sua serva la dignità di una regina. La lattaia è sola, nella cucina spoglia. Nella finestra a sinistra, da cui entra la luce del giorno, uno dei vetri è rotto. Gli arredi sono modesti: sul pavimento uno scaldino, sulla parete d'angolo un cesto di vimini e un secchio di rame. E la cornice scura di uno specchio. Che non riflette nulla: la pittura non è copia della realtà. In basso, il battiscopa è una fila di piastrelle quadrate di ceramica decorate con disegni azzurri: artigianato di qualità, sfornato dalle fabbriche di Delft. Vi si riconoscono dei Cupido. Forse alludono all'amore. Cosa pensa la serva mentre, le palpebre basse, assorta, lavora? Sul tavolo, una caraffa, una cesta, forme di pane e la ciotola di terracotta in cui lei fa colare un filo di latte. Il pittore la inquadra dal basso. Forse perché dipingeva seduto, e quello era il suo punto di vista. Forse perché così la figura acquistava monumentalità.Vermeer, noto nel '600 per l'abilità nella prospettiva, costruì attentamente quella di questa tela, in cui si vede ancora il foro dello spillo in corrispondenza del punto di fuga. Sulla mano destra della lattaia. Perché è il suo gesto che deve catturare lo sguardo. La luce batte sulla cuffia, sulla fronte della ragazza, e sul muro dietro di lei. L'effetto del chiaroscuro ritaglia la figura (evidenziata sulla spalla e sul lato sinistro dalla linea di contorno bianca), che sembra sospinta in avanti, verso lo spettatore. Ma il tavolo ingombro di masserizie lo tiene a distanza - di qua dalla soglia. Gocce di colore picchiettate con la punta tonda del pennello (è la tecnica del "puntinato") riflettono la luce: il manico della cesta e la crosta del pane barbagliano. Il fiotto del latte e la ragazza acquistano una forza epica. Il tempo si ferma, un attimo insignificante si dilata all'infinito e racchiude il segreto della vita. Ma il muro? Non serve solo da sfondo. Vi affiorano minime tracce. Un chiodo, e la sua ombra: il buco di un altro chiodo che, quando è stato estratto, ha scrostato l'intonaco. Sono tracce reali e insieme metaforiche. In quella cucina era appesa una carta geografica, e Vermeer l'aveva dipinta. Non eseguiva disegni preparatori e si concedeva molti ripensamenti: correggeva, eliminava, copriva. E così poi ha cancellato la carta geografica (suggeriva il mondo esterno, che lui voleva invece escludere dal quadro). Il mondo è tutto qui: esistono solo la donna e il latte che sgorga dalla brocca. Il chiodo però si vede, come i buchi. L'arte raffigura ciò che resta. La pittura può solo colorare le tracce, registrare con la massima cura e amore (la perfezione cinese di Proust) gli istanti della nostra vita - le assenze, le ferite, lo sbriciolamento di ogni superficie su cui la luce (il tempo) si posa. Vermeer non svelerà mai a cosa sta pensando la lattaia. Il silenzio che impone ai personaggi è il suo. Lascia che parli il muro. Cioè la pittura stessa. Il sognatore con il lato oscuro
Dall'archivio di Repubblica, un articolo di Lea Mattarella scritto in occasione di una mostra di tele di Vermeer alle Scuderie del Quirinale di Roma
Artisti come Gabriel Metsu o Gerard ter Borch raccontano in modo memorabile la vita del loro tempo, che si è guadagnato il titolo di secolo d' oro della pittura olandese. Inquadrano architetture e interni abitati da personaggi intenti a compiere gesti abituali: c' è chi cucina, chi ricama, chi gioca a carte, chi suona uno strumento. Non esiste gruppo che non sia accompagnato da un cane che è sì simbolo di fedeltà, ma è anche compagno di esistenza quotidiana. Nel dipinto di Hendrick van Vliet un cagnetto scodinzolante fa addirittura la pipì sulla colonna di una chiesa. È evidente che questi artisti vogliono innanzitutto narrare: virtù domestiche, rigore morale, senso della dignità di una vita "normale". E tra i più grandi affabulatori c' è Pieter de Hooch capace di rivelare attraverso piccoli espedienti come porte che si aprono, grate investite dal sole, piccole scale all'orizzonte, un'idea di spazio completamente rinnovata. Dove inserisce famiglie protestanti in posa, figure che rassettano una camera da letto o camminano in cortile. Anche lui, come gli altri, finisce per trasportarti nel suo tempo, rivelandoti i dettagli di giornate sempre uguali.
Vermeer si forma in quest' ambiente e i suoi temi sono simili a quelli dei colleghi. Tuttavia, quando incontri i suoi otto quadri disseminati tra gli altri olandesi nelle sale delle Scuderie, hai un sussulto, la differenza brilla sulla tela. Perché lì c' è la luce. E quella di Vermeer è altro da tutto il resto. Il suo modo di dar luce al mondo è ipnotico, crea e unifica lo spazio e si identifica con la struttura stessa del quadro. Ne è il vero, segreto, soggetto: finestre nascoste irradiano pareti da cui emana un silenzio luminoso, intimo ma anche quasi estraneo alla realtà. Così si crea un tempo sospeso. È la cifra di Vermeer. Inconfondibile. Irripetibile. Eppure, tutta questa unicità, la possiamo riconoscere come un tassello, un capitolo di una storia che ha radici profonde nel passato della pittura ed è destinata a andare lontano. Possiamo tirare un ideale, magari arbitrario ma certamente luminoso filo rosso che unisce artisti lontani tra loro per epoche e luoghi. Pittore di luce è Beato Angelico, nella Firenze del Quattrocento. Dio, per questo monaco domenicano, si esprimeva in chiarori e brillantezze che aveva imparato a conoscere miniando codici sacri. Come Vermeer anche lui risolve lo spazio in termini di luce, di bianco su bianco, come se non vi fosse bisogno d' altro. A Venezia nel Cinquecento il tempo della pittura diventa quello di mattini tersi con Paolo Veronese. Nel Seicento Caravaggio e Georges de La Tour squarciano il buio illuminando particolari e interpretando come mai prima d' ora il chiaroscuro. La luce diventa protagonista della veduta con Canaletto e in maniera naturale conquista il paesaggio. Gli impressionisti cercano di restituire l'attimo di quel determinato raggio di sole, mentre Matisse immagina una luce mediterranea quasi assoluta. Se ci si lascia sedurre dagli accostamenti di azzurri e gialli di opere come la Giovane donna in piedi al virginale si sente immediatamente un'affinità con le ultime bottiglie dipinte da Giorgio Morandi, che amava moltissimo Vermeer. E basta osservare i particolari dei muri de La stradina con quel colore dai contorni che vibrano e sbavano per essere catapultati nello spazio-colore più intenso e coinvolgente del Novecento, quello di Mark Rothko. |
L'Opera n. 41
"... Vermeer spersonalizza la lattaia, come tutti i suoi modelli, privi di identità e inespressivi come maschere. Malraux paragonò i loro volti enigmatici a quelli dei kouroi della Grecia arcaica. La lattaia deriva da altri quadri, perché Vermeer - idolatrato per la minuzia del dettaglio naturalistico - inventava invece non dalla realtà ma dall'arte. Commercianti, birrai, fornai e mercanti di Delft apprezzavano la pittura di genere: scenette ambientate in bordelli, cucine e salotti, che col pretesto di moralizzare descrivevano i costumi contemporanei. Esisteva una Lattaia di Gerrit Dou, 'fine pittore' di Leida. Ma Vermeer andò a cercarsi il modello in una Regina Artemisia dell'italiano Domenico Fiasella: un quadro di storia. Era ancora giovane e non limitato dall'ambizione di essere considerato un gentiluomo: fece qualcosa di inaudito (e irripetibile). Diede alla sua serva la dignità di una regina...". Mazzucco)
L'Autore
BiografiaJan Vermeer, pittore olandese, nasce a Delft il 30 ottobre 1632, secondo di due figli di un mercante d'arte, tessitore di seta e gestore di una taverna che Jan ha rilevato dopo la morte del padre nel 1655.
La frequentazione, attraverso il padre, di artisti locali e collezionisti, influenza precocemente il ragazzo che, già intorno alla metà del 1640, comincia la sua formazione artistica. Nel 1653 sposa una ragazza cattolica da cui avrà undici figli e quello stesso anno diventa un maestro nella corporazione dei pittori di Delft. Sembra che Jan Vermeer abbia dipinto molto poco e che abbia venduto solo una parte della sua produzione, dato che la maggior parte dei suoi dipinti erano ancora nelle mani della sua famiglia, quando morì. Tuttavia le sue altre attività di mercante d'arte e di taverniere gli permisero di sostenere egregiamente la sua numerosa famiglia fino all'invasione francese del 1672, quando la Francia invase i Paesi Bassi. Le opere giovanili di Vermeer hanno colori caldi ispirati ai dipinti della scuola di Rembrandt, mentre la composizione ed i soggetti suggeriscono l'influenza dei Caravaggisti. Durante il XVII secolo era in uso come gioco, come curiosità e come strumento di studio della luce la «camera ottica» con la quale era possibile vedere un'immagine capovolta. Anche se l'immagine era solo visibile e non si poteva stampare, sembra che il pittore la utilizzasse per definire i profili di paesaggi ed oggetti che poi trasferiva sulla tela. Da questo particolare utilizzo della "camera ottica" che veniva usata per esperimenti e non in campo artistico, deriva l’atteggiamento più di curiosità che di comprensione artistica riservato alle sue opere, che dovevano apparire ai contemporanei non il frutto di «arte», inteso come creazione che nasce soprattutto da una visione interiore, ma il frutto di una descrizione fredda e imparziale della realtà. Jan Vermeer è un artista di grande originalità, che è stato trascurato per due secoli e riscoperto solo dalla fine dell’Ottocento. Oggi, tuttavia, il valore dell’arte di Vermeer ci appare come una delle vette più alte della creatività artistica, e non solo del Seicento olandese. Di lui ci sono pervenute circa quaranta opere a lui attribuite, di cui solo sedici risultano autografe. Uno dei motivi di questa limitata produzione è da attribuire alla meticolosità che metteva nell’eseguire i suoi quadri, che richiedevano quindi un lungo tempo per essere finiti. I lavori dell'artista comprendono un paio di vedute esterne intitolate «Veduta di Delft» e «Stradetta», mentre il resto sono quadri realizzati in ambienti chiusi. Spesso a essere rappresentate sono figure singole o due o tre persone intente in attività quotidiane, come leggere, versare latte, studiare, eseguire un lavoro, impartire una lezione e cose del genere. La luce, unita all'attento equilibrio cromatico, è uno degli ingredienti più personali nei quadri del pittore fiammingo, che sa dar vita ai visi ed ai corpi ritratti. Sensibile alle qualità tattili dei materiali e dei tessuti, Vermeer conosce il trattamento e l’uso della luce e utilizza il colore puntinato allo scopo di dare rilievo agli oggetti; la sua predilezione per il blu e il giallo e questa volontà di rendere i drappeggi palpabili, si ritrovano in tutti e tre i suoi oli su tela più popolari “La Lattaia”, “Ragazza con turbante” o “La Merlettaia”. La bravura del pittore deriva dalla severa applicazione dei canoni della pittura fiamminga e olandese del tempo a cui Vermeer aggiunge una perfezione naturalistica eccezionale. Dal nostro punto di vista la pittura di Jan Vermeer è l’immagine più vera e profonda del tempo storico nel quale è vissuto. Alla morte di Pieter Claesz Van Ruijven, grande collezionista di dipinti e principale committente dei quadri dell’artista, la situazione economica del pittore e della sua famiglia di quindici figli (di cui cinque moriranno in tenera età), divenne insostenibile. Travolto dai debiti l'artista morì ancora giovane nel dicembre del 1675 e, l'anno dopo, la moglie, costretta a dichiarare bancarotta dichiarerà: “a causa delle grandi spese dovute ai figli e per le quali non disponeva più di mezzi personali, si è afflitto e indebolito talmente che ha perso la salute ed è morto nel giro di un giorno e mezzo”. Le opere |