"Footballeurs" di de Staël
Il poema visivo di de Staël che cattura la magia del calcio
La prima volta allo stadio non si dimentica. Di giorno è
bello, di notte è una folgorazione.
Cammini in un budello di cemento armato, sali una ripida rampa di scale e
all’improvviso ti ritrovi sulle gradinate, frastornato dal ruggito della folla:
in alto le luci abbacinanti dei proiettori e il cielo nero, davanti migliaia di
teste frementi — e laggiù un fazzoletto d’erba dove pulsano figure colorate.
Nel 1952 le partite in notturna costituivano ancora una novità assoluta. La
sera di mercoledì 26 marzo al Parco dei Principi di Parigi contro la nazionale
di Francia venne a giocare la Svezia. Si trattava di un’amichevole, ma
importante, perché le squadre non si affrontavano dal 1935. Gli ospiti erano
stati preceduti da una rispettosa ironia. La Svezia aveva raggiunto la finale
ai Mondiali del 1950 (a danno dell’Italia). Ma da allora i migliori talenti
erano emigrati all’estero, molti calciatori della nazionale erano dilettanti e
inoltre d’inverno non si allenavano. I giornali diedero molto risalto
all’avvenimento, preannunciato come un rito mistico. Pubblicarono artistiche
foto in bianco e nero di altre partite giocate in notturna: il calcio diventava
danza, il pallone una luna d’argento, i calciatori ballerini dalle movenze
eleganti. Possibile che i pittori non si sentissero sfidati da un soggetto
così? In Italia c’era stato un nobile
precedente – il pioniere Umberto Boccioni, che si era interessato al dinamismo
dei calciatori fin dal 1913. Ma il calcio in Francia non ispirava l’arte.Invece
quel mercoledì di marzo allo Stade de France, tra i moltissimi spettatori —
che, scrisse un testimone, offrivano un colpo d’occhio impressionante, spalmati
sulle gradinate come caviale- c’era anche un pittore.Nicolas de Staèl,
considerato in quel momento il più promettente, dotato e originale artista del
dopoguerra: la Francia gli aveva concesso la cittadinanza e lo aveva adottato.
Russo di nascita, figlio di un generale zarista, di famiglia aristocratica
costretta all’esilio dalla Rivoluzione bolscevica, orfano a otto anni, era
cresciuto in Belgio. Aveva speso la giovinezza inquieta viaggiando in Europa e
Africa del Nord, sperimentando e cercando di scoprire quale pittore voleva
essere. Maturava con lentezza—solitario, ma attento alle creazioni degli altri.
Nei tetri anni dell’occupazione nazista si era fatto apprezzare per alcune tele
astratte, alquanto cupe e angoscianti.
Quella sera andò dunque allo stadio con la moglie Francoise. Alto, esotico, bellissimo, da ragazzo era stato un notevole sportivo, e si predisponeva semplicemente a gustare una partita di calcio. Gli svedesi giocavano in maglia gialla, calzoncini celesti e calzettoni a righe orizzontali, i francesi in divisa blu. I francesi, un po’ per sussiego, un po’ per scarso impegno, giocarono senza ispirazione e senza furore. Furono sopraffatti dalla velocità e dall’agonismo degli avversari. Gli svedesi impartirono ai calciatori e agli spettatori una lezione di tattica, tecnica e volontà. Segnarono una sola rete, di testa, all’83°, ma avrebbero potuto stravincere. Il pittore però trasformò la disfatta in arte. Ossessionato dalla sarabanda delle maglie gialle svedesi intorno a quelle blu dei francesi, che si stagliavano colorate contro il buio, e dal movimento dei giocatori, che volteggiavano dimentichi sé sul prato verde pisello sotto luci artificiali dei proiettori, appena rientrato nello studio iniziò a dipingere: non la partita reale, che aveva visto, ma l’emozione indelebile che gli aveva lasciato. In pochissimi giorni realizzò una serie di quadri di piccole dimensioni, tutti intitolati Footballeurs—un poema sportivo per frammenti che sta alla pittura come il ciclo di sonetti sul calcio di Saba alla poesia. In essi, de Staèl coronava il progressivo ritorno alla figura— alle forme che da qualche mese si erano riaffacciate nella sua opera. Cioè, abbandonava l’astrazione pura, proprio quando lo stavano etichettando come il contraltare europeo di Pollock. Trasformò i corpi dei calciatori in masse di colore, un mosaico di riquadri pennellati con la spatola — come qualche tempo prima aveva fatto coi tetti di Parigi. Nello spazio appiattito, è l’alternanza dei colori a creare movimento. I Footballeurs sono tutti simili e tutti diversi. Qualcuno più semplice, più vicino alla realtà, qualcuno più visionario. Nel quadro di Aix, le sagome dei calciatori, le teste, le gambe, i calzettoni, l’erba, sono ancora riconoscibili, braci di colore che ardono sul muro nero della notte. Infine de Staèl dipinse il più grande della serie, lo intitolò Stade de France e passò oltre. La serie dei Footballeurs lo aveva come liberato. In tre anni dipinse con furore centinaia di quadri—sempre più grandi, sempre più luminosi ed essenziali — in cui però le forme e le figure restavano sempre leggibili. Inventò una pittura di colore e luce. Per un nudo, gli bastava qualche linea sinuosa e due colori, per le ali dei gabbiani qualche virgola di bianco. Dipinse così bottiglie, fiori, paesaggi, finestre. Divenne un maestro del colore, come Matisse. Divenne ricco, riebbe la vita che gli era stata strappata dalla storia — e all’improvviso se la tolse. Lui che aveva definito lo spazio della pittura un muro, dove però volano liberi gli uccelli del mondo, scelse una morte aerea, verticale, lanciandosi nel vuoto a quarantun anni. Non so se De Staèl a masse particolarmente il calcio. Il calcio è strategia e imprevedibilità, tecnica ed estro, tattica e occasione, esercizio e applicazione ma anche talento e genio. Qualità che anche lui possedeva. In una partita, il caso svolge un ruolo decisivo. Anche lui credeva nel caso, aveva fede nell’ispirazione, nell’azzardo, nel rischio. Bisogna lavorare, aveva scritto a un amico: ci vuole una tonnellata di passione e cento grammi di pazienza. La pazienza era finita, la passione — per la pittura, per la materia, per la luce — l’ha consegnata a noi. |
L'opera n. 13
"Trasformò i corpi dei calciatori in masse di colore, un mosaico di riquadri pennellati con la spatola - come qualche tempo prima aveva fatto coi tetti di Parigi. Nello spazio appiattito, è l’alternanza dei colori a creare movimento. I Footballeurs sono tutti simili e tutti diversi. Qualcuno più semplice, più vicino alla realtà, qualcuno più visionario. Nel quadro di Aix, le sagome dei calciatori, le teste, le gambe, i calzettoni, l’erba, sono ancora riconoscibili, braci di colore che ardono sul muro nero della notte. Infine de Staël dipinse il più grande della serie, lo intitolò Stade de France e passò oltre". (Melania Mazzucco)
L'artista
Il padre Vladimir era un barone
russo baltico, della stessa famiglia del marito della celebre Madame de Staël,
e la madre era una pianista. A seguito della Rivoluzione Bolscevica la famiglia
si trasferì in Polonia. Alla morte dei genitori, (1921-1922) visse con le
sorelle a Bruxelles presso la famiglia Fricero. Fu introdotto all'arte,
dapprima nel collegio dei Gesuiti e in un secondo tempo grazie alla
frequentazione dell'Accademia di Belle Arti di Bruxelles. Si arruolò nella
Legione straniera francese prestandovi servizio tra il 1936 e il 1940. Nel 1936
fece un viaggio in Marocco e conobbe Jeannine Guillou, anche lei pittrice, con
la quale si stabilì a Nizza. Nel 1942 nacque la figlia Anne e, nel 1946, la
moglie morì di denutrizione. Nel 1943 espose alla Galérie de l'Esquisse accanto
a Kandinskij. Se in una prima fase artistica perseguì una libera espressione,
successivamente si accostò all'astrazione, non priva di forti slanci
emozionali. Seguì gli esempi di Braque, di Matisse e di Cézanne, pur
manifestando una tensione drammatica personale e peculiare, tramite la
riduzione degli oggetti ed i forti contrasti di colori. Nell'ultimo periodo
creativo, dal 1950 in poi, prevalse un'espressione di calma che si manifestò
con l'inclusione nelle sue opere di oggetti reali, in un insieme lirico.
Altre sue opere
L'arte e il calcio
Anche l'arte dimostrò come il calcio fosse un tema che si prestava particolarmente bene ad essere raffigurato e non è difficile ricordare opere di artisti - da Guttuso a Depero, da Moschi a Chia, da Mancioli e Gribaudi fino a Toderi e Maselli - che contribuirono con le loro creazioni a elaborare un immaginario artistico legato a questo popolarissimo sport. Arte e calcio, dunque, strinsero un sodalizio sulla scia dell'interesse che i futuristi mostrarono per lo sport in genere, in cui si rintracciava un forte dinamismo che aprì inevitabilmente la strada al calcio, con Carrà che nel 1934 dipinse una partita.
|