"Femmes encerclées par le vol d'un oiseau" di Mirò
Il cielo brulicante di stelle è la consolazione dei solitari e dei vagabondi. Le costellazioni indicano la direzione a quelli che brancolano nell'oscurità. Le Costellazioni di Miró sono una serie di 23 tempere: un ciclo di opere dello stesso formato, che rimano fra loro combinando gli stessi elementi come note musicali, e infatti paragonate alle Variazioni Goldberg. Miró dipinse la prima il 21 gennaio del 1940, nella casa che aveva preso in affitto a Varengeville sur Mer, in Normandia. Dagli anni '20 aveva trovato un equilibrio fra le sue due patrie: quella d'origine e quella che si era scelto. Come Persefone, fluttuava tra il sole e la notte: l'estate in Catalogna, l'inverno a Parigi. Dal 1937, però, era un esule, e aveva perso i mesi di luce.
Mirò: la lirica astratta dell’arte
La guerra lo braccava, anche se aveva partecipato a quella civile spagnola solo da pittore: esponendo l'enorme El Segador - il contadino in rivolta - nel padiglione della Repubblica all'Expo di Parigi del 1937, insieme a Guernica di Picasso. Nel 1939, la guerra - mondiale ormai - lo aveva raggiunto. A Varengeville Miró trascorse mesi di solitudine e sgomento, ascoltando musica, leggendo poesie e osservando gli acquitrini, le nuvole, il silenzio. Le stelle lenivano l'orrore, gli restituivano la bellezza dell'universo e il passato che temeva perso per sempre. Da bambino, a Mont-roig, il padre, orefice, orologiaio e astronomo dilettante, gli aveva insegnato a decifrare il firmamento col telescopio.
Riprese i pennelli. Frappose fra sé e la guerra l'infinito del cielo dipinto. Scelse come supporto la carta (raschiandola, sfregandola e torturandola), e come medium l'acqua e il fuoco (colori ad acqua e benzina). Poi, astraendosi da tutto, come in sogno, iniziò a cartografare le sue costellazioni su fogli di 46 cm x 38 (più o meno due volte un A4). Intitolò la prima Le lever du soleil. Con pazienza e cura maniacale del contrappunto di forme e colori, ne realizzò dieci. Alcune erano rade di segni, come il cielo pallido nella notte di plenilunio; altre fittissime, come nel cielo buio di luna nuova. Nel maggio del 1940 i nazisti bombardarono la Normandia, e Miró salì sull'ultimo treno per Parigi - da cui gli abitanti fuggivano, in attesa della catastrofe. Stretto fra Hitler e Franco, scelse la geografia degli affetti. Si rifugiò a Palma di Maiorca, isola-madre (lì era nato il nonno materno). Nascosto per timore di ritorsioni dei falangisti, anonimo, oppresso dalla sensazione che non ci fosse un futuro. "Mi dicevo" ha raccontato dopo "vecchio mio, sei fregato. Ti sdraierai sulla spiaggia e disegnerai sulla sabbia con un bastone. Oppure farai dei disegni col fumo di una sigaretta. Non potrai fare nient'altro". Ma gli restava la libertà di dipingere. In agosto riprese le Costellazioni. Femmes encerlées par le vol d'un oiseau, la diciannovesima, è del 26 aprile 1941. Miró - considerato il rappresentante più giocoso di una pittura automatica e onirica che attinge all'inconscio - si nutriva di tutto e tutto inseriva nella sua creazione. Non attribuiva alle opere d'arte un ruolo gerarchicamente superiore a quello degli oggetti, fosse pure il laccio di una scarpa. Trovava le aringhe affumicate arrotolate in una scatola di metallo belle come un rosone di Chartres. Era questa democrazia combinatoria delle cose il suo "surrealismo". Ma non lasciava nulla al caso. Minuzioso come un artigiano, sperimentava tecniche, materie. Dal 1931 dava sempre un titolo (in francese) alle sue composizioni, e ne annotava scrupolosamente la data (giorno, mese, anno). Dunque considerava importanti l'uno e l'altra. Il sognatore con il lato oscuro
Dall'archivio di Repubblica, un articolo di Lea Mattarella sull'evoluzione della pittura di Mirò. Dagli anni giovanili alla vecchiaia
Quando potrò stabilirmi da qualche parte - scriveva Joan Miró nel 1935 - il mio sogno è avere un grande studio... andare oltre la pittura da cavalletto". Il desiderio di una "stanza tutta per sé", l'artista catalano lo realizza nel 1956 quando l'amico architetto Josep Lluís Sert progetta il suo atelier a Palma de Maiorca, dove Miró immediatamente si ritira.
(...) All'epoca è già un artista celebre, ha legato il suo nome alle esperienze surrealiste, ha vissuto a Parigi, ha inventato un mondo pittorico trasognato, fatto di elementi biomorfici, di costellazioni stilizzate, di forme misteriose che navigano, sospese e senza peso in uno spazio della tela diventato fluido. Ma adesso, più che sessantenne (era nato a Barcellona nel 1893), nel silenzio di Palma, è come se sentisse il desiderio di reinventarsi, di accelerare il passo della sua pittura. (...) È come se Miró vivesse una seconda giovinezza. Si mette in discussione, ribalta il punto di vista. Per esempio guarda all'arte americana, ma anche alla pittura orientale. E dà vita a un universo in cui i suoi temi classici, le stelle, l'uccello, i corpi suggeriti e mai descritti, le clessidre, i bilancieri, raggiungono una potente carica espressiva". Questa nuova attitudine la si coglie perfettamente fin dalle prime sale. Che cosa è cambiato dal Miró parigino? Innanzitutto il formato. Le opere ono, tranne qualche raro caso, tutte di grandi dimensioni. E se nel 1935 l'artista sognava di abbandonare il cavalletto, nel buen retiro sull'isola, questo accade per davvero. "Appoggio i miei quadri su trespoli o sul pavimento. Quando sono per terra, posso camminarci sopra", afferma nel 1974. E ancora: "Per terra lavoro sdraiato a pancia in giù. Oh sì, mi sporco tutto di pittura, faccia, capelli; mi ritrovo schizzi dappertutto". In queste monumentali tele si trovano tracce delle suole delle sue scarpe. E il pennello di Miró sgocciola, il suo gesto è ampio, carico di espressività. L'artista ha abbandonato la linea precisa e ferma del passato e predilige adesso gigantesche pennellate che rivelano i suoi lati più segreti. C' è certamente uno scambio con l'action painting americana. I surrealisti, che mettono l'inconscio al centro del quadro, sono alle radici dell'Espressionismo astratto americano: Miró però non solo contribuisce alla nascita di questa nuova generazione di pittori, ma arricchisce, guardandoli, il proprio linguaggio. D' altra parte Miró era entrato in contatto con Jackson Pollock quando nel 1946 aveva ricevuto l'incarico di realizzare un dipinto per il Gourmet Restaurant del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati e per realizzare quest' opera aveva vissuto a New York tra febbraio e ottobre. La decorazione in questione (...) non risente ancora delle feconde suggestioni degli americani. Queste verranno fuori proprio negli anni di Palma, quelli in cui Miró non costruisce più un universo onirico e sognante, conquistando invece una brutalitàe una totale immersione nel quadro quasi primitive, che provocano un'immediata reazione emotiva in chi guarda. "Più invecchio e più divento matto, aggressivo, cattivo", -affermava. E nel corso degli anni sembra sempre di più far sua la poetica dell'amico critico d' arte Sebastià Gasch che auspicava "un'arte intensa e forte, ricca di pathos, aspra e barbara, senza attenuanti. Un'arte che ci inebri di profumi, finché non ci metterà fuori combattimento con un vigoroso pugno". È esattamente quello che fa l'ultimo Mirò: seduce con un gesto elegante che sembra quello di un maestro orientale, conducendo chi guarda in spazi di grande armonia; e poi sfodera i suoi fondi volutamente sporchi (li eseguiva con la trementina in cui aveva prima pulito i pennelli), la materia dura, gli scarabocchi, le scolature. Inoltre utilizza sempre di più il bianco nero: c' è una sala bellissima, di dipinti monocromi, che pare un viaggio nella notte tra uccelli misteriosi, figure femminili accennate e sensuali, teste inventate, orizzonti accesi da una dispettosa luna nera. Resta costante, anche negli ultimi anni, il côté ribelle della gioventù, quell'antico desiderio di voler "assassinare la pittura", che per lui ha sempre significato la tenace volontà di rivoluzionare i codici formali della tradizione. Eccolo, nel 1976, inchiodare assi di legno su un fondo di carta abrasiva a creare il suo Personaggio e uccelli. E affrontare la scultura, recuperando oggetti. Come una zucca e una bambola uniti a creare una forma inaspettata, protetti per sempre da una colatura di bronzo. |
L'Opera n. 40
"...Questo associa le due parole magiche di Miró, la donna (qui al plurale, les femmes) e l'uccello (l'oiseau): già apparsi insieme in svariate pitture, in seguito (specie negli anni '60 e '70), sarebbero stati onnipresenti, declinandosi in un'infinità di varianti. La donna terrestre, dea madre mediterranea pagana ed eterna, simboleggia la materia; l'uccello aereo, l'artista - il volo, il canto e la libertà. (L'uomo invece non è mai menzionato da Miró, sempre solo ridotto a 'personaggio'). Nelle opere 'selvagge' degli anni '30 la donna è ancora riconoscibile - dalle curve, da un triangolo con la punta in alto, vago ricordo di una gonna svasata, dall'onda doppia dei seni. Ma nelle Costellazioni le forme sono pure, sono diventate pittografie, lettere di un alfabeto misterioso. E a spiegarle si corre il rischio di fare la fine di Éluard, che ammirò 'un simbolo solare' e si sentì rispondere da Miró che era invece una patata. Bisogna abbandonarsi alla lirica astratta di questa fantasmagoria in giallo, rosso, verde e nero, quasi un graffito sulla cenere. Immagini scaturite dalla memoria di quadri già dipinti o visione di quelli futuri...". (Melania Mazzucco)
L'Autore
BiografiaJoan Miró nasce a Barcellona il 20 aprile 1893. Figlio di un orefice, e nipote di un ebanista, comincia a disegnare all'età Fotografia di Joan Mirò di 8 anni. Nel 1910 si stabilisce per un lungo periodo in campagna, nella proprietà familiare di Montroig, il cui ambiente suggestionerà direttamente ed indirettamente buona parte della sua opera. Nel 1912 Joan Miró entra alla Scuola d'arte di Barcellona, scopre il fauvisme ed espone per la prima volta alle gallerie Dalmau, mentre l'anno dopo si reca per la prima volta a Parigi dove conosce il connazionale Picasso e soprattutto il circolo Dada di Tristan Tzara da cui viene maggiormente attratto. La sua pittura appare già in questo periodo decisamente originale ed è caratterizzata da un realismo trasformato dall'accentuazione o dall'aggiunta di numerosi dettagli che conferiscono a "La fattoria" (1922), un aspetto quasi allucinatorio.
Da questo periodo, Joan Miró frequenta l'ambiente parigino e durante l'estate 1923, inizia a Montroig "Terra arata" che segna il suo passaggio al surrealismo. In effetti, dopo aver conosciuto Pablo Picasso e Pierre Reverdy, entra in contatto con Masson e è attraverso la sua amicizia che nel 1924 aderisce al movimento surrealista. In un'evoluzione dai primi paesaggi cosiddetti 'particolaristi', le opere di questo periodo si caratterizzano per un'atmosfera sospesa e distaccata da ogni volontà rappresentativa, che si orienterà sempre più verso un'astrazione lirica raggiunta attraverso segni grafici elementari. Nel 1925 Joan Miró espone alla galleria Pierre di Parigi. Continuando a risiedere alternativamente a Parigi e Montroig, si dedica, spronato da Breton, a una pittura improntata al più «puro automatismo». Forme in completa libertà, né astratte, né figurative, neanche «simboliche» nel senso comune del termine, si muovono su di una superficie ove è scomparso ogni effetto prospettico. Il carattere concreto dei titoli, tuttavia, così come l'audacia dell'impostazione, si allontanano del resto da ogni riferimento a un'arte puramente decorativa. Un grafismo sempre molto deciso si unisce alla struttura analogica propria del surrealismo nel celebre "Nudo" del 1926. Tuttavia Joan Miró intraprende a partire dal 1928 nuove ricerche: sviluppa l'idea di reinterpretare, attraverso il gioco delle associazioni mentali, i quadri dei maestri del XVII secolo e anche la pubblicità, trasformando così un motore diesel in ritratto di "La regina Luisa di Prussia" (1929). Lo stesso processo di disintegrazione e ricostituzione viene applicato da Joan Miró a opere su carta, collages e «oggetti surrealisti». Dal 1927 Joan Miró aveva sperimentato il «quadro-poema», cioè l'iscrizione diretta sulla tela di qualche frase poetica tra i suoi consueti asterismi. Al 1930 risalgono le litografie (le prime di un'abbondante produzione) per L'albero dei viaggiatori di Tristan Tzara. Nel 1933, si cimenta nell'acquaforte ed esegue le sue prime sculture. Dal 1934 al 1937 Joan Miró sperimenta tutti i tipi di nuovi supporti per la propria pittura (carta vetro, carta catramata), mentre ritorna all'interpretazione poetica del «reale» che aveva contrassegnato i suoi esordi. Profondamente colpito dalla guerra di Spagna, Joan Miró esegue nel 1937, una pittura murale per il padiglione della Spagna repubblicana all'Esposizione internazionale di Parigi "Il falciatore". Con l'occupazione tedesca di Parigi, Joan Miró rientra in Spagna e vive in assoluta solitudine (Palma di Maiorca, Montroig, Barcellona), rifiutando esplicitamente ogni partecipazione a manifestazioni artistiche organizzate dal regime franchista. Joan Miró sembra limitare anche la sua attività pittorica alla ripresa di temi precedenti, benché allo stesso periodo risalga uno dei suoi capolavori: la "Metamorfosi" di un Ritratto di uomo del XIX. Del 1947 è la grande decorazione murale per l'Hotel Terrace Palace di Cincinnati, eseguita durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti, mentre la decorazione del monumentale muro di ceramica per il Palazzo dell'UNESCO a Parigi fu realizzata nel 1958. All'inizio degli anni Sessanta Joan Miró si recherà altre due volte negli Stati Uniti dove, oltre che ricevere tributi e onori, verrà influenzato dalla pittura informale americana. La sua opera, che non aveva mai cercato la completa astrazione bensì un linguaggio surreale poeticamente semplificato, nell'ultimo periodo si abbandonerà dunque, al trionfo fantastico del colore puro, in una gioiosa libertà formale. Il 25 dicembre del 1983, all'età di novant'anni, Joan Miró muore a Palma di Maiorca e viene sepolto a Barcellona. Le opere |