"Susanna e i vecchioni" di Artemisia Gentileschi
I pittori schivano il seguito. Cioè l'arrivo del profeta Daniele che interroga separatamente i vecchioni, li fa cadere in contraddizione e poi suppliziare invece di lei. Non ricordo di aver mai visto dipinta la scena del processo, lo smascheramento, la punizione dei calunniatori. Sempre la bella al bagno. Sensuale ma innocente, talvolta; voluttuosa sempre. Susanna garantiva un'immagine di nudità erotica ma vereconda, legittimata dalla fonte biblica (pur apocrifa). Inventari e archivi attestano che i committenti erano sempre uomini - spesso religiosi. Minaccia, ricatto: la violenza sulla donna
Dunque c'è una giovane donna formosa, dalla pelle trasparente. Nuda, salvo il drappo bianco sulla coscia sinistra, che occulta l'inguine. È raffigurata dal vero, con naturalismo e senza idealizzazioni: l'areola rosea, la poppa piriforme, ventre e arti cicciosi. Non si vedono gioielli, indumenti, boccette, balsami. Susanna è priva di ogni ornamento: indifesa. Il pittore - che appartiene all'ambiente romano dei caravaggisti d'inizio '600 - ha assimilato la lezione del maestro: la narrazione è scarnificata, la scenografia abolita. Non c'è il giardino della bella casa di Babilonia, descritto nel testo. Né il leccio e il lentisco fatali ai giudici, o fronde e verzura lussuriosa. Solo il cielo azzurro che, in alto, trasuda minerale freddezza. E i personaggi, colti in azione. Così il pittore dipinge Susanna seduta sul gradino della vasca (invisibile) in cui sta per immergersi, incarcerata dalla parete di marmo. In posizione dominante, gli spioni incombono su di lei, formando una piramide. Il linguaggio dei gesti surroga la visione della nudità. Il più anziano, col dito alle labbra, le intima il silenzio. L'altro, che non è vecchio come vorrebbe il racconto ma un giovane riccio e barbuto, tocca confidenzialmente la schiena del primo, e gli sussurra complice all'orecchio. Il prugna-bruno del suo mantello si salda col rosso di quello del vecchio: una macchia di colore contro la pallida epidermide di lei: Susanna non ha scampo. L'espressione del suo viso rivela angoscia e impotenza. Sa cosa l'aspetta, se si nega. Ma si nega, gesticolando, inorridita. Il pittore ha capovolto il senso di questa morbosa storia, pretesto per celebrare la bellezza femminile e il voyeurismo maschile. Incentrandola non sullo sguardo che viola l'intimità ma sul ricatto, l'ha trasformata in una scena di sinistra violenza psichica: la composizione verticale dell'immagine accresce l'effetto di minaccia.
Non sappiamo per chi fu dipinto questo quadro. Sappiamo però quando, e da chi. ARTIMITIA GENTILESCHI F 1610, si legge sul marmo, nell'ombra della gamba. La scritta, a lungo ritenuta apocrifa, è invece autentica. La pittrice firmò e datò l'opera. Ciò mi obbliga a rinnegare il ragionamento iniziale. L'autore del quadro era una donna: e lo rivendicava, specificando il suo nome. E voleva anche che si sapesse che l'aveva dipinto a 17 anni (era nata nel 1593). Che all'età in cui i coetanei facevano i garzoni o i lavoranti nelle botteghe dei maestri, lei sapeva già disegnare, colorire, inventare e realizzare (F= fecit) un quadro di storia di medio formato, con tre figure. Storia e corpi umani: il genere di pittura più alto e difficile. Se fosse stata un ragazzo, a 17 anni poteva "dare l'esame", dipingendo figure per la commissione, essere accolta come maestro nella corporazione dei pittori e aprire bottega. Come zitella romana, invece, non poteva quasi uscire di casa e viveva segregata. Doveva studiare sui disegni e le incisioni del repertorio della bottega del padre, il pittore pisano Orazio Gentileschi. Ma non si poteva impedirle di coltivare il suo talento e di progredire. Anzi Orazio - sodale di Caravaggio, vedovo selvatico dalla lingua scurrile - incoraggiava le ambizioni della figlia. Nel 1612 scrisse alla Granduchessa di Toscana che Artemisia "in tre anni si era talmente appraticata, che posso ardir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere, che forse principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere... Gli manderò saggi dell'opera di questa mia figlia dalla quale vedrà la virtù sua". Susanna e i vecchioni si lascia allora leggere come quel "saggio" della capacità (virtù) di ARTIMI-TIA. Una pittrice pensa per immagini, visivamente, e ogni scelta (rinuncia al paesaggio, inquadratura stretta, verticalità, giovinezza del calunniatore e sua caratterizzazione come fosse il ritratto di una persona reale), è carica di senso. Anche la firma parla, se si pensa che a quel tempo Artemisia non sapeva "scrivere e poco leggere". Il padre forse la aiutò a migliorare il quadro, suggerendole correzioni nella posa delle figure, e a farlo circolare, proponendolo ai propri committenti quando Artemisia fu coinvolta (per volontà di Orazio stesso, che sperava di ricavarne la dote e la restituzione dell'onore, in quest'ordine) nel processo contro il suo defloratore Agostino Tassi. Nel tribunale di Roma, non intervenne il profeta Daniele a confermare le sue parole. Artemisia fu calunniata, e l'ignominia della disonesta fama l'inseguì fino alla morte, e oltre. Ma avrebbe rifiutato il diritto all'oblio: si specializzò proprio in nudi femminili di vittime di stupro morale e fisico (Susanna, Lucrezia), in sante ed eroine forti e peccatrici (Maddalena, Cleopatra, Giuditta). Con grinta, viaggi e affanni, si costruì affetti, reputazione, gloria, dimostrando "un animo di Cesare nell'anima di una donna". Nel 1649, anziana, scrisse fieramente all'illustrissimo don Ruffo: "vi farò vedere quello che sa fare una donna". L'aveva già fatto. L’artista vendicatrice
Dall'archivio di Repubblica, un articolo di Natalia Aspesi sul mondo di Artemisia Gentileschi
A Giaele addormentato, Sisara dalle robuste braccia ficca nella tempia a martellate un grosso chiodo; a Sansone immerso nel sonno, una Dalida molto scollata sta per tagliare i riccioli bruni; ma il maschio cui Artemisia Gentileschi dedica i suoi maggiori furori pittorici è il generale assiro Oloferne, dalla bella testa barbuta, anche se mozzata. Dal tardo Medioevo in su, l'eroina Giuditta che decapita il pover' uomo aveva ispirato una folla di artisti: e Luca Cranach l'aveva ritratta con un vezzoso cappellino, e Botticelli aveva messo la testa tagliata del generale assiro sul capo della domestica come fosse un cesto della biancheria. Caravaggio ne aveva fatto una giovinetta disgustata dal fiotto di sangue che usciva dal collo semistaccato di Oloferne ancora vivo e con occhi e bocca spalancata. Ma è Artemisia a dare alle bibliche femmine vendicatrici la massima e divampante ira (...).
C' è Sisara, c' è Dalida, e di Giuditte ce ne sono in mostra almeno sei: dipinte dal 1610 (attribuzione incerta), a Roma sua città natale, al 1645, a Napoli, dove morirà attorno al 1654. In queste donne armate di spada, in questi suoi dipinti meravigliosi, spesso illuminati dal blu acceso ottenuto dal costoso lapislazzulo per cui la pittrice si indebitava, c' è una collera nuova, una violenza cieca, una sete invincibile di vendetta, una calda complicità tra donne (Giuditta e la sua serva), gesti assassini ma sapientemente domestici come trinciare un pollo o affettare un pezzo di carne; oppure l'eroina Giuditta, a macello compiuto, elegantissima in velluti e ricami, i bei riccioli rossi fermati da un gioiello, tiene in mano senza orrore la testa recisa o l'affida alla serva, avvolta in uno straccio o deposta in un cesto casalingo di vimini. A rendere il suo segno, la sua immaginazione così pieni di rabbia fu la rivalsa di una ragazzina orfana di madre, maltrattata da un padre violento, suo padrone e maestro, quell'Orazio Gentileschi, artista alla moda che diventò poi pittore alla corte di Carlo I, il monarca inglese cui fu tagliata la testa come ad Oloferne? O fu il ricordo dello stupro (definito da Contini e Solinas ' accadimento amaramente banale'), subìto a 17 anni da parte di Agostino Tassi, collega di Orazio? O forse fu l'orrendo lungo processo contro il violentatore, durante il quale la ragazzina, esposta al ludibrio pubblico e per sempre rovinata, fu più volte interrogata da giudici implacabili (maschi) in latino, (lei era allora semianalfabeta); ed era tale il disprezzo per le donne, che fu lei, la vittima, per accertarne la sincerità, ad essere sottoposta alla ' sibillà , il supplizio che consiste nel legare con cordicelle le dita delle mani sino a stritolarle. O fu anche la delusione per un marito, padre dei suoi quattro figli (tre morti in tenera età) il fiorentino Pierantonio Stiattesi, che per sposare nel 1612 una disonorata, aveva ottenuto dei favori da Orazio, e che pur proteggendola e aiutandolaa preparare telee colori, si faceva mantenere completamente. A riconciliarla con il mondo degli uomini non era bastato neppure il grande amore, ricambiato, per il nobiluomo fiorentino Francesco Maria Maringhi, ricco uomo d' affari suo coetaneo, che conobbe a 23 anni, con il beneplacito del marito poi abbandonato. Solo recentemente sono state trovate le lettere (cinque sono esposte in mostra) di Artemisia e dello Stiattesi, al gentiluomo fiorentino. Il marito ossequioso tiene informato l'amante e protettore della moglie della vita di famiglia e della di lei arte; Artemisia, sgrammaticata e colta, alterna passione e scenate di gelosia a pressanti richieste economiche. Nel suo tempo, quello dei caravaggeschi e di Bernini, di Rubens e di Rembrandt, lavorando a Roma, Firenze, Venezia, Napoli, e fuggevolmente a Londra, Artemisia Gentileschi era stata una ' pittorà di massima celebrità, richiesta dalle varie corti per la sua originalità. Nell'Ottocento di lei si persero le tracce, come di tante donne di talento che il pensiero patriarcale dominante non poteva accettare. Solo agli inizi del ' 900 si cominciò a riscoprirla, prima come vittima, col ritrovamento degli atti del processo per stupro, poi finalmente come artista geniale, restituendole il giusto valore che aveva conquistato da viva. Per le donne, e il femminismo, è diventata dagli anni ' 70 un mito. Per questo l'eccezionale mostra milanese che arriva vent' anni dopo quella fiorentina di Casa Buonarroti, è sponsorizzata da ' Di Nuovo Milanò del movimento ' Se non ora quandò e da ' Valore D, Donne al Verticè . Dice la presidente Alessandra Perrazzelli, responsabile degli affari internazionali di Intesa San Paolo: ' Per la prima volta ci occupiamo d' arte, in omaggioa un'artista di clamoroso talento, che in quanto donna subì violenze e umiliazioni ma seppe imporsi per il suo genio. Noi crediamo che la gestione aziendale abbia bisogno della cultura, della cultura femminile, per avere davvero un futuro. |
L'Opera n. 39
Invocano il diritto all'oblio i colpevoli di brutali fatti di cronaca, che hanno espiato o si sono redenti: e anche le vittime, inchiodate per l'eternità al dolore patito. È una grazia non esaudibile: il firmamento della rete oggi riverbera ogni istante di ogni vita, anche la più insignificante. Ma Artemisia è morta intorno al 1652. Provo a liberarla dal peso della sua ingombrante biografia: a raccontare questo quadro come se ignorassi il nome dell'autore. Il soggetto si riconosce al primo sguardo. Una giovane nuda, due uomini vestiti: è Susanna. La bella signora di Babilonia, simbolo di castità e fedeltà, ha avuto un successo travolgente nell'Europa della Controriforma (da Tintoretto e Veronese fino a Rubens, Reni, Domenichino, Guercino, Preti, Rembrandt e van Dyck). La storia viene dall'Antico Testamento: la bellissima Susanna, moglie del ricco Ioachim, si accinge a bagnarsi nel giardino della sua casa; ma viene seguita e spiata da due anziani giudici, ossessionati dal desiderio di lei. I due le intimano di concedersi, minacciando altrimenti di denunciarla come adultera. Susanna rifiuta, i due rilasciano falsa testimonianza e lei viene condannata a morte. La parola di una donna - in un processo - vale il resto di niente. ( L'Autrice
BiografiaArtemisia Gentileschi è stata una delle pochissime artiste donna della storia, e oltre che per le sue opere è conosciuta anche per la sua vita e le sue vicissitudini degne di un romanzo.
Questo perchè nacque in un'epoca in cui le donne vivevano ai margini della società ed erano relegate esclusivamente al ruolo di mogli e madri, mentre Artemisia ebbe il coraggio di ribellarsi a tali convenzioni lavorando come pittrice e perseguendo una propria autonomia e indipendenza. Artemisia Gentileschi nacque a Roma nel 1593, unica femmina dei sei figli del famoso pittore Orazio Gentileschi che era un esponente conosciuto dell'arte di Caravaggio, e fu proprio nella bottega del padre che la giovane iniziò ad avvicinarsi al mondo della pittura e questa era una cosa davvero rara per l'epoca. Infatti alle donne era preclusa qualsiasi forma di cultura all'epoca e ancor più quella di dipingere, visto che l'arte era considerata dominio esclusivo dell'uomo, ma Artemisia riuscì a portare avanti la sua formazione artistica grazie alle frequentazioni del padre e ai suoi insegnamenti; così fin da giovanissima l'artista romana ebbe modo di mettere in luce il suo talento. I primi quadri di Artemisia avevano come soggetto la sua migliore amica e vicina di casa Tuzia e poichè il padre Orazio era un cultore dell'arte caravaggiesca è molto probabile che la stessa artista lo conobbe personalmente: infatti Caravaggio usava spesso strumenti presi dalla bottega del Gentileschi padre. La prima opera famosa di Artemisia è il quadro "Susanna e i vecchioni" che rappresenta un episodio dell'antico Testamento in cui la vergine Susanna viene ricattata da due anziani signori che frequentavano suo marito e che la obbligano a sottostare ai loro desideri sessuali, Di questa opera si è spesso affermato che potesse in realtà essere frutto del lavoro del padre Orazio, ma questo non è mai stato dimostrato. Sul fronte della sua vita privata Artemisia fu provata da uno stupro subito da Agostino Tassi che era un conoscente di suo padre ed è quindi inevitabile non pensare ad un collegamento tra la sua prima opera e questo traumatico episodio. Il padre di Artemisia denunciò il Tassi dopo la violenza anche perché lui rifiutò di sposarla in quanto aveva già una moglie, e questo era una condizione che metteva in disonore la giovane artista, dato che all'epoca la verginità era sacra per una fanciulla non sposata. Era comunque raro che una violenza carnale fosse denunciata e ancor più che si giungesse ad un processo, e anche questa fu un'esperienza traumatica per Artemisia che subì delle torture per essere convinta a deporre le accuse. Possiamo per questo considerare Artemisia come una delle prime femministe in Italia per il coraggio dimostrato in questa occasione. Un altro quadro celebre dal titolo "Giuditta che decapita Oloferne" è stato interpretato come la voglia di rivalsa dell'artista. Nonostante il suo carattere ribelle Artemisia accettò di sposare Pierantonio Stattesi in modo che come donna riacquistasse onorabilità, da lui ebbe 4 figli e la coppia si trasferì a Firenze, dove fu la prima donna ad essere ammessa in una Accademia dell'arte. In questo periodo dipinse alcuni dei suoi più celebri quadri come "Allegoria dell'inclinazione" e "Giuditta con la sua ancella", in seguito visse di nuovo a Roma e poi a Venezia e a Napoli. Nella città parteonopea ebbe modo di lavorare a tre opere per una chiesa, la cattedrale di Pozzuoli, segno questo che ormai era stata accettata come artista e che aveva raggiunto una certa fama. Artemisia Gentileschi dopo una breve parentesi inglese, durante la quale decorò il soffitto della Casa delle delizie per la regina Enrichetta Maria, tornò a Napoli dove morì nel 1653. Le opere |