"La Creazione di Eva" di Michelangelo
Quando Giulio II nel 1508 lo incaricò di affrescare il soffitto della cappella papale (allora più importante di San Pietro), Michelangelo tentò di sottrarsi. Non è la mia professione - si schermì, modestamente - sono uno scultore. Il papa non gli credette. Non era un teologo, piuttosto un politico e un generale, sicché non si effuse in spiegazioni dettagliate: si accontentava di qualche apostolo. Michelangelo - che aveva 33 anni - iniziò a pensare, studiare testi, disegnare, preparare i cartoni, poi montò i ponteggi in modo da non intralciare le funzioni religiose che dovevano continuare a svolgersi sotto di lui, e si accinse all'opera. Brontolando e protestando, litigò con tutti. Ma quell'impresa lo rivelò a se stesso - e presto anche al mondo. I suoi affreschi sarebbero diventati un paradigma della storia dell'arte, e considerati opera quasi divina. Di eccezionale chiarezza, plasticità, espressività. Opera perfetta, sottratta al tempo, fonte e matrice di ogni pittura possibile. Ancora oggi, chi si sofferma sugli Antenati di Gesù nelle lunette resta sbalordito dalla modernità di quella galleria di famiglie e coppie, abbigliate in vesti dai colori acidi e iridescenti, colte in attitudini quotidiane, le donne mentre si pettinano i capelli o dondolano una culla, gli uomini mentre leggono o si accingono a una rissa - secoli prima di Degas, Vermeer e anche Pasolini, perché il primo ragazzo di vita l'ha dipinto Michelangelo nel 1512, coi ricci da pecoraro e gli orecchini da bullo. La Creazione di Eva la dipinse nell'ottobre del 1511, quando ricominciò il lavoro dopo un'interruzione dovuta alla partenza del papa per la guerra. Procedeva a ritroso, dalle storie più recenti della Genesi verso l'origine. Così creò Eva prima di Adamo. Ma l'infernale fretta di Giulio II (non immotivata, peraltro: voleva vedere l'opera finita prima di morire, e vi riuscì a stento) aveva costretto Michelangelo a perfezionare la sua tecnica, la velocità esecutiva, la gestualità della pennellata (dipingeva in piedi, la "barba al cielo" e la testa arrovesciata, "con grande affanno e grandissima fatica", il pennello che gli sgocciolava sul viso), e anche a modificare il piano iconografico. Doveva semplificare l'immagine e ingrandire le figure, in modo che fossero perfettamente leggibili da terra, 20 metri più in basso, e scegliere con attenzione i colori - meglio se chiari e freddi - perché aiutassero a definire le forme. Prima di Eva, però, dipinse gli Ignudi. Come nelle scene precedenti (e in quelle successive), quattro Ignudi, ciascuno seduto su un plinto, incorniciano la scena biblica e sorreggono un medaglione bronzeo, che rappresenta a sua volta una scena biblica. Quei 20 giovani maschi nudi dalle carni sode, armoniosi, bellissimi - simmetrici e speculari, colti in ogni possibile torsione e inclinazione, in tensione muscolare, a riposo, simili e diversi come variazioni musicali - rappresentano il più straordinario campionario del linguaggio del corpo che sia mai stato realizzato. Non svolgono alcuna funzione narrativa, anzi volgono le spalle alla scena che inquadrano (o vi si intromettono con prepotenza): eppure non sono decorativi, ma necessari al senso dell'opera. Sono un omaggio alla bellezza del corpo dell'uomo - e dunque a Dio. Sono gli Ignudi a esaltare la bellezza della Creazione. Nella pratica dell'arte il nudo maschile rappresentava una prova di virtù. Dal vivo o dalla statuaria classica, era oggetto di studio, tappa di ogni apprendistato. La penuria di modelli femminili e un inveterato pregiudizio di genere sulla superiorità dell'anatomia e della bellezza virile condussero all'eccellenza la raffigurazione dell'uomo. Ma il nudo maschile non era oggetto di contemplazione. Il nudo femminile seduce, il nudo maschile turba. Nel 1522 papa Adriano VI rimase scandalizzato da quell'esibizione di carne fresca sulla volta della Cappella Sistina. La definì "una stufa di ignudi", e ne sollecitò la distruzione (fortunatamente morì prima di attuarla). Ma i maschi nudi hanno continuato a scandalizzare fino ai nostri giorni. Solo dopo aver dipinto i 4 magnifici Ignudi - di cui merita menzione quello con la bocca tumida e la fascia tra i capelli, verde come gli occhi inquieti, di una bellezza quasi oltraggiosa - Michelangelo passò alla storia vera e propria. La creazione di Eva dalla costola di Adamo è troppo nota e non necessita commento. I cultori di una lettura tipologica della volta la interpretano come l'allegoria della nascita della Chiesa. Ma Michelangelo rese Eva molto umana. Ai contemporanei piacque l'attitudine modesta della donna, che nasce sottomessa, inchinandosi, le mani giunte in preghiera. Io apprezzo il paesaggio sommario (appena creato, ma già riconoscibile nei suoi elementi: acqua, cielo, erba, pietra) e la monumentale figura dell'Eterno - arcaica, come un ricordo di Giotto. Avvolto in un manto rosso-viola (in gergo "morellone"), intento a benedire con mano enorme la sua creatura, sembra compresso nello spazio pittorico, che non può contenere la sua immensità. Ma apprezzo ancor più l'efebico Adamo dormiente. Ancora un Ignudo, abbandonato nel sonno. Innocente e ignaro, poggia la schiena su un tronco - che prefigura l'albero della vita, e le sventure che la dolce compagna sta per attirargli. L'umiltà di Eva trasuda riconoscenza per la grazia ricevuta di esistere. Tutto ciò, Michelangelo lo dipinse in 4 giorni. L'Eterno in un giorno solo. Non credete ai proverbi. Non sempre la fretta è cattiva consigliera. |
L'Opera n. 25
Quelli che non si sentono all'altezza di un impegno, o non sanno lavorare sotto pressione e non riescono a concentrarsi se intorno c'è rumore, dovrebbero andare nella Cappella Sistina, fermarsi al centro dell'enorme sala, piegare il collo e guardare in alto. La volta interamente affrescata è un tripudio di colori e immagini - alcune, come la Creazione di Adamo, talmente famose che le conosce anche chi non le ha mai viste coi suoi occhi. Tutte quelle storie della Genesi, i Profeti e le Sibille, i Putti (o Geni), le scene bibliche nelle vele, gli Antenati di Gesù nelle lunette, le ha dipinte in circa 520 giornate un uomo solo, riluttante, quasi controvoglia e incalzato ogni giorno a sbrigarsi e concludere, anche con la convincente minaccia di essere buttato giù dall'impalcatura in caso di disobbedienza. Di Melania Mazzucca
L'Autore
MICHELANGELO E LE DONNE
Un articolo pubblicato recentemente su "Repubblica", che sviscera il rapporto tra il grande pittore e l'immagine femminile Le parti femminili nel teatro furono per molti secoli interpretate esclusivamente da attori maschi. Le donne non erano giudicate all'altezza di quel podio. Ma nella scena pittorica della Genesi, liberamente e magistralmente ribaltata sulla volta della Sistina cancellando nel 1508 il vecchio cielo stellato, che necessità aveva Michelangelo di dare alle Sibille e alle altre eroine dell'Antico Testamento il corpo muscoloso di un "palestrato"? Le ragioni della mascolinità del femminino michelangiolesco, addirittura esibita nella cappella dei conclavi in Vaticano, non sfuggono all'immagine caricaturale di un mondo tutto virile quasi fosse imposto a Buonarroti dalla propria omosessualità. Come se l'immenso artista toscano non fosse stato in grado di contemplare e rappresentare anche una bellezza altra da sé e dall'amato Tommaso Cavalieri. Di fronte all'evidente, conturbante machismo della sibilla Cumana, e che si riscontra anche già nelle straordinarie braccia virili (per la prima volta nude) della Madonna nel Tondo Doni, si è parlato di "marchio della cultura patriarcale del Rinascimento" (Yael Even); di "passione fisica (omoerotica) per il corpo maschile" (Howard Hibbard); di "misoginia" (Gill Sauders). C' è però anche un motivo più profondo per cui la splendida sibilla Libica o la possente, anziana Persica, ma anche Caterina e le altre sante presenti nel Giudizio Universale affrescato dal 1536 sulla parete d' altare della Sistina, hanno il corpo muscoloso dei ragazzi spogliatie presia modello da Michelangelo nella sua bottega. E si spiega col pensiero di sant' Agostino, attraverso uno dei suoi massimi esegeti del tempo, Egidio da Viterbo: teologo e predicatore caro alla corte di papa Giulio II ma anche interprete nel pensiero neoplatonico al quale si era abbeverato Michelangelo negli anni della formazione fiorentina. "La chiave di volta nell'interpretazione della Sistina è l'imago Dei nell'interpretazione del vescovo di Ippona", dice Costanza Barbieri, che lunedì, alla giornata di studi organizzata dall'Università Europea di Roma, per i 500 anni (15122012) della Sistina, terrà un intervento dal titolo Un uomo in una donna, anzi uno dio per la sua bocca parla: sant' Agostino e le donne mascoline di Michelangelo. La prima parte del titolo è tratta da una poesia scritta dal Buonarroti per una donna, quella Vittoria Colonna che il maestro frequentò a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. "In questo sonetto - spiega Barbieri - l'artista rivolge all'amica poetessa un complimento inaspettato. La paragona a un uomo. Di più: a "uno dio" che "per sua bocca parla", quasi una sibilla. E stare a sentirla è fonte per Michelangelo di una illuminazione così intensa che il maestro si dichiara conquistato: "ond' io per ascoltarla/ son fatto tal, che mà più sarò mio". Questa visione "maschia" delle donne non è una prerogativa di Buonarroti. "No, è un topos letterario. Molti umanisti esaltano la donna colta e letterata trasformandone l'identità sessuale. Ad esempio, Lauro Querini si rivolge con queste parole all'umanista veronese Isotta Nogarola: "Tu sei vittoriosa sulla tua stessa natura perché con singolare zelo e impegno hai ricercato la vera virtù, che è essenzialmente maschile"". Come le Vergini affettuose di Raffaello, le Madonne materne di Leonardo, per non parlare delle carnosissime Veneri di Tiziano, anche Michelangelo aveva in gioventù - certo, a suo modo - reso femmine le donne. "Infatti, la mascolinizzazione non avviene sistematicamente - interviene Barbieri - e, prima della Sistina, abbiamo figure femminili assolutamente graziose quali la Vergine della Pietà di San Pietro, la Madonna con il Bambino di Bruges o la stessa Eva della Sistina. Ma nella Volta avviene una metamorfosi", precisa la studiosa di iconologia, autrice nel 2004 di un'importante mostra e di un saggio sulla Pietà di Viterbo dipinta, fra il 1512 e il 1516, da Sebastiano del Piombo con l'aiuto di Michelangelo, e su commissione dell'agostiniano Giovanni Botonti. La città dei Papi è anche il luogo dove dal 1541 Vittoria Colonna visse per tre anni dando vita, con il cardinale inglese Reginald Pole e il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi, a quel cenacolo che fu protagonista di un progetto di rinnovamento interno alla Chiesa e che venne tuttavia accusato d' eresia per la contiguità con tesi della la riforma protestante. Ma torniamo agli anni della Sistina, al 1508 quando papa Giulio II Della Rovere distolse a forza Michelangelo dall'incarico di scolpirgli la tomba per impegnarlo per quattro anni ad affrescare la Volta, e quando Martin Lutero non aveva ancora affisso a Wittemberg le sue clamorose 95 tesi. "Anche Lutero era un agostiniano, e l'agostinianesimo informa le istanze rinnovatrici, e non eretiche, del circolo di Viterbo. Però certo - precisa Barbieri - sant' Agostino è presente nella Sistina, attraverso Michelangelo, in un'altra veste. Secondo Esther Gordon Dotson e Maurizio Calvesi, agostiniana è l'impalcatura teologica che sottende alla Sistina e, possiamo aggiungere, anche la ragione profonda dei mascolinizzati corpi femminili, in una visione che contempla anche la bellezza secondo il pensiero dei platonici". Al centro di tutto c' è il Dio che ha creato Adamo "a sua immagine e somiglianza" e, attraverso suo Figlio, si è incarnato in un uomo. "Per san Paolo esiste una sostanziale incompatibilità tra la divinità e la femminilità" spiega Barbieri. Tale da precludere alle donne la resurrezione poiché, secondo l'apostolo, i risorti "saranno conformi all'immagine del Figlio di Dio", ossia a un maschio. "Sant' Agostino però è convinto che le donne nel giorno del Giudizio risorgeranno conservando la loro identità di genere. Questo elemento cruciale è stato affrontato da Kari Elisabeth Borresen, la prima teologa cattolicaa coniugare i gender studies con l'esegesi. Il vescovo d' Ippona risolve il dilemma di san Paolo teorizzando che, mentre l'uomo riflette il suo creatore anima e corpo, la donna è duplice e, mentre rispecchia l'imago dei nell'anima razionale, se ne discosta nel corpo. Come è possibile che le donne - si interroga il dottore della Chiesa - perdano il loro sesso una volta risorte? No, non lo perderanno, ma si conformeranno a una nuova immagine. Per visualizzare questa nuova immagine di una donna più vicina all'immagine di Dio, Michelangelo escogita un corpo femminile mascolinizzato in quanto spiritualizzato, più conforme al Figlio, che aumenta in virilità con l'età e con la saggezza". Ed è la predicazione di Egidio da Viterbo "ad affrontare all'inizio del ' 500 i temi della dignità dell'uomo, della bellezzae armonia del corpo maschile, specchio del suo creatore, in sermoni di fronte alla corte papale". Alla luce dell'agostinianesimo e del neoplatonismo di Marsilio Ficino sintetizzati dal predicatore agostiniano, Michelangelo trova la giustificazione teologica alla sua visione della centralità della perfetta immagine del maschile, rispecchiamento di quella divina. "E le sue figure femminili - chiosa la studiosa romana - sono infatti tanto più mascolinizzate quanto più si avvicinano spiritualmente a Dio". |