"L'ombra" di Picasso
Un pittore può entrare nel suo quadro in molti modi. Col nome: la firma - posta in un cartiglio o sul bordo, evidente o occultata nella scena dipinta - lo legittima, assegnandogli un padre creatore. Con la figura: inserendo il proprio autoritratto, il pittore rivendica la sua funzione di testimone nella storia e la sua presenza di artefice. Con un segno: una traccia, anche cifrata, della sua identità individuale. Picasso è tornato più volte sul motivo del rapporto fra creatore e opera e alla fine ha firmato con l'ombra. Anche l'ombra è una traccia: l'impronta dell'incontro di un corpo con la luce.
L'ombra sembra uno dei quadri più semplici dello sterminato catalogo di Picasso: ne conosciamo genesi, circostanze e significato. E' un'immagine quasi tradizionale, costruita con pochi colori: l'interno di una stanza, con una finestra da cui s'intravede il cielo azzurro. La luce irrompe in un ambiente oscuro, dove c'è una figura femminile, distesa. L'erotismo implicito nella presenza della modella nuda è rivelato dalle dimensioni dei suoi seni (più grandi del volto) e della mano enorme, prensile, bestiale. Qualcuno si pone davanti alla fonte di luce. Ne vediamo solo l'ombra - una sagoma maschile, una piatta silhouette che sembra ritagliata con le forbici. Tecnicamente è difficile dipingere un'ombra senza renderla un'informe macchia grigia: per questo i pittori l'hanno sempre considerata con sospetto. Picasso dipinge l'ombra nera. E' quella che scientificamente si definisce "ombra portata": cioè non aderente al soggetto che la proietta. Questo soggetto, da cui è separata, rimane fuori dal quadro. Ma ne invade lo spazio con lo spettro. Chi è? La cicatrice di un'assenza
Forse lo spettatore, cui Picasso restituisce il ruolo di voyeur che l'arte occidentale gli ha assegnato per secoli - almeno nella visione di un quadro con lo stesso soggetto di questo: la Nuda in una stanza. Ma la stanza del quadro, ha spiegato Picasso in un'intervista, è quella della sua casa di Vallauris, nel sud della Francia. Sulla mensola si riconosce un carretto siciliano, da lui acquistato durante un viaggio, sul camino un vaso di ceramica, sul pavimento un tappeto. Dunque l'Ombra è quella del pittore stesso. E' Picasso che guarda la scena. E' come se volesse farci vedere ciò che lui vede - mettere lo spettatore al suo posto. Nei quadri cubisti di quasi cinquant'anni prima, aveva moltiplicato i punti di vista nella rappresentazione dell'oggetto, scomponendolo. Ma stavolta predilige il suo. Nel linguaggio cinematografico, sarebbe una 'soggettiva'. E' un autoritratto al negativo, dunque - ma singolare. Per convenzione, la mano del pittore è il suo segno. Invece l'ombra non ha mani. L'immagine è una sorta di riflesso mentale.
Guardando meglio, ci si accorge che la donna non è davvero presente nella stanza. E' un ricordo, o un sogno. Bianca, come l'ombra del pittore è nera, marca un'opposizione fra i due, il colore e la forma sigillano una differenza di temperatura e consistenza - le due entità sono reciprocamente inafferrabili.Françoise Gilot raccontò che nel momento in cui Picasso dipinse L'ombra - fra il Natale e il Capodanno del 1953, forse in un solo giorno - la donna, cioè lei, era assente, per una separazione che ormai era divenuta definitiva. Ma anche se lo ignorassimo, è il quadro che ce lo dice: non vi è nessun contatto fra l'ombra e il corpo, l'uomo e la donna. Le ombre non possono avere rapporti con le cose e le persone. Sono inerti, immateriali. Il quadro parla di solitudine, di perdita, di assenza. Ma soprattutto parla d'arte. E' stato notato che L'ombra ricorda Matisse: il Violinista alla finestra nella struttura dell'immagine, la serie delle Odalische nella figura femminile nuda distesa. E l'ombra cita le guaches découpées che Matisse ottantaquattrenne andava creando nel letto dove giaceva immobi-lizzato. Matisse aveva detto che lui e Picasso erano come il Polo Nord e il Polo Sud. Lui era il nord: tradizione, intelletto, colore; Picasso il sud: genio, linea, disegno. Matisse francese, borghese di estrazione e d'animo, fautore di un'arte edonistica, riposante e impersonale; Picasso straniero, andaluso, bohémien, genio precoce che aveva imparato a disegnare prima che a parlare, sedotto dalla scultura primitiva e dagli idoli africani, creatore di un'arte onnivora, autobiografica, irriverente, disturbante. Si frequentarono, si sospettarono, si ammirarono, si studiarono per tutta la vita (ognuno teneva nel proprio studio almeno un capolavoro dell'altro). Si detestavano, anche. Matisse accusò Picasso di essere un bandito: in sostanza un ladro, che si appropriava delle idee altrui (e in particolare delle sue). Picasso era d'accordo: diceva che ogni pittore è un collezionista che raccoglie le immagini degli altri e le rende proprie, che anzi deve prendere ovunque sia possibile, e considerava degradante copiare solo da se stesso. Picasso vedeva in Matisse il suo negativo. Per questo è possibile che L'ombra sia davvero un omaggio di Picasso al suo rivale - ormai alla soglia della morte. Ma non è solo un dialogo con l'amico-nemico di una vita. E' anche una riflessione sulla propria pittura. L'ombra del pittore non si proietta infatti nella stanza della sua casa. Ma su un suo quadro che raffigura la stanza della sua casa. Picasso guarda se stesso - la sua vita e la sua opera. E la ripensa nel contesto della tradizione. Non ha mai smesso di confrontarsi con essa - per innovarla. Sapeva che la pittura occidentale origina dall'ombra. Lo racconta Plinio: Dibutades, figlia di un vasaio di Corinto, disegna sul muro il profilo dell'ombra dell'amato, prima che parta per sempre. Questo mito, accolto e interpretato per quasi due millenni da tutti gli storici dell'arte, inaugura una storia della rappresentazione che nel 1953 - anche se è sul punto di collassare - non si è ancora interrotta. Picasso, tra i principali artefici della rivoluzione artistica del XX secolo, la rivitalizza. La figurazione non è morta. E neanche l'artista: la sua ombra è ancora lunga. Però quel fantasma nero trasmette un'arcana inquietudine. Picasso, che si era infatuato dell'arte tribale, non ignorava che nelle credenze ancestrali e nel pensiero magico l'ombra è associata all'anima - di cui è immagine (forma visibile) o residuo (dopo la morte). Dunque per noi posteri l'ombra nera di Picasso potrebbe essere anche la malinconica cicatrice di un'assenza. Un buco nella luce. Il profilo sul muro di un amato scomparso, il contorno di un cadavere. Nel XXI secolo l'arte crede di non avere più bisogno di pittori. Il genio cannibale della pittura
Dall'archivio di "Repubblica", un articolo di Lea Mattarella che si addentra nell'arte di un maestro di tutti gli stili
"La pittura è più forte di me, mi fa fare ciò che vuole", diceva Picasso. Ed era davvero così: il più grande artista del Novecento sembrava posseduto dal suo stesso talento, dalla sua passione, da una vitalità esplosiva e una specie di bulimia creativa che lo portava a sperimentare materiali e linguaggi senza fermarsi mai. Una mostra di Picasso, come quella aperta a Palazzo Reale dove torna dopo quasi 60 anni, curata da Anne Baldassari, che raccoglie 250 tra dipinti, disegni, sculturee fotografie,è un viaggio attraverso invenzioni e suggestioni sempre diverse e affascinanti. È vero, insieme a Braque ha avuto l'intuizione del cubismo, e basterebbe questo per consacrarlo tra i grandi. Ma lui era molto di più, un vero monumento alla storia dell'arte e non era qui, sulla strada cubista, che poteva fermarsi. La sua è una vicenda leggendaria dai molti capitoli che a volte, per sua precisa volontà, si accavallano tra loro. Le opere esposte in questa occasione ripercorrono le tappe di un cammino che lo ha visto non soltanto inventare ma anche guardare, attraversare, amare, possederee trasformare gran parte delle immagini che lo circondavano. Sempre in modo originale, frugando tra le pieghe dell'arte. Tutta. Dalla scultura iberica all'arte africana, dal classicismo al surrealismo, ma non solo. Diceva: "A me la pittura piace tutta, guardo sempre i quadri buoni o cattivi che siano, dal barbiere, nei negozi di mobili, negli alberghi di provincia. Sono come un bevitore che ha bisogno di vino. Purché sia vino non importa che vino". Guardare per lui significava afferrare. E trasfigurare tutto in qualcosa di personale. Non a caso lo hanno definito il Gran Cannibale della pittura. "Io dipingo esattamente come altri scriverebbero la loro autobiografia. Le tele, finite o non finite, sono come le pagine del mio diario". E quelle che si sfogliano a Palazzo Reale sono davvero le più intime: si tratta infatti di opere che arrivano dal Musée Picasso di Parigi, nato dopo la sua morte, con i materiali conservati nei suoi diversi studi. Quadri, sculture, disegni che lo hanno accompagnato per tutta la vita. E se si crede alla sua dichiarazione "sono il più grande collezionista di Picasso di tutto il mondo", si può essere certi della qualità e dell'importanza della raccolta che viene presentata qui. Folgoranti gli esordi. Picasso, che è nato a Malaga nel 1881, compie il suo primo viaggio a Parigi nel 1900 e inizialmente è attratto dall'universo di Toulouse-Lautrec, com' è evidente dall'atmosfera di questo Café Concerto. Ma nel giro di poco tutto cambia: il suo amico, il poeta Carlos Casagemas che era arrivato con lui da Barcellona dove avevano studiato, si uccide per amore. E il giovane Pablo, dopo averlo raffigurato con il buco della pallottola bene in vista sulla tempia e una lampada che emana irradiazioni colorate alla Van Gogh, mette a lutto la sua tavolozza per varcare la soglia di mondi notturni e oscuri abitati da mendicanti, derelitti, emarginati. Come l'intensa Célestine dall'occhio cieco, uno dei capolavori di questa stagione dominata dalla compassione, nota come il suo "periodo blu". Dopo, eccolo abbandonare i toni freddi e mettere in scena la rivincita del rosa, degli ocra, di un colore caldo che veste ogni cosa. Les deux frères del 1906 e l'Autoportrait che pare di pietra, sono un esempio straordinario della malinconia picassiana di questi anni in cui compaiono le prime figure di saltimbanchi e l'Arlecchino che diventerà uno dei suoi tanti alter ego sulla tela. La sterzata dell'anno successivo non riguarda soltanto Picasso, ma investe tutta la pittura occidentale. Dal 1907 in poi la parola bellezza rivestirà davvero un nuovo significato. Nascono le Démoiselle d' Avignon, precedute dagli studi qui esposti che lo mostrano alle prese con modelle e muse scovate - e non cercate - al museo etnografico del Trocadero. Lui lo racconta così: "Era disgustoso, quando vi sono andato, un mercato delle pulci. Puzzava. Ero solo. Volevo andarmene. Non me ne andavo. Restavo. Ho capito che era molto importante: mi stava accadendo qualcosa. Le maschere non erano sculture come le altre. Per niente. Erano oggetti magici... Contro tutto: contro spiriti sconosciuti, minacciosi. Continuavoa guardarei feticci. Ho capito: anch' io sono contro tutto... Ho capito perché ero pittore... Les Demoiselles d' Avignon mi devono essere nate quel giorno: non per via delle forme, ma perché era la mia prima tela di esorcismo". Da lì al Cubismo il passo è breve e così, tra spigoli e scomposizioni, si arrivaa un rigore che ha bisogno del monocromo dell'Homme a' la guitare e dell'Homme a' la mandoline. Ma non basta. Per conquistare la realtà, questa deve penetrare l'arte: legni, carte, chiodi, carte da gioco occupano lo spazio del dipinto, latte tagliate, piegate e colorate diventano sculture. C' è anche una sella di bici con un manubrioa fingere la testa di un toroo uno scolapasta che è quella di una donna. Ma per Picasso è impossibile fermarsi: nel 1914 dipinge, ritrovando una volumetria classica, Il pittore a la modella. Una parentesi? Niente affatto. Nel 1917, mentre il cubismo si diffonde come un'epidemia diventando quasi un'accademia, lui che fa? Un viaggio in Italia dove collabora con i Balletti russi e si innamora di Olga, una ballerina, che subito ritrae strizzando l'occhio ad Ingres. Ed è lui stesso a raccontare di averlo fatto perché "non si è stregoni a tempo pieno. Come si potrebbe vivere?". Nascono così, da suggestioni mediterranee e rivolte all'antico, le sue gigantesse che corrono in riva al mare, monumentali anche nella piccola dimensione. E Paul en Arlequin, un capolavoro nella sua risolta incompiutezza. Ma Picasso non la smette di infilarsi in nuove avventure: deforma surrealisticamente strane figure che giocano a palla sulla spiaggia o si accoppiano in maniera bizzarra. L'eros ha un ruolo fondamentale nella sua vita e dunque nella sua arte. La sua amante Marie Thèrese è la protagonista di immagini neocubiste dalla forte componente sensuale, mentre l'altra sua compagna, la fotografa Dora Maar, è spesso ritratta che piange. Succede nel 1937 quando Picasso sta immaginando Guernica, la sua opera "politica", insieme al Massacro in Corea qui esposto. Dopo è un fiorire di bagnanti, donne che si pettinano o leggono, nudi distesi, rivisitazioni dei grandi maestri del passato che anticipano il postmoderno. Fino a quell'ultimo Le jeune peintre dipinto nel 1972 che sembra voler schiacciare il pulsante sul rewind. Per ricominciare ancora. |
L'Opera n. 37
L'ombra sembra uno dei quadri più semplici dello sterminato catalogo di Picasso: ne conosciamo genesi, circostanze e significato. E' un'immagine quasi tradizionale, costruita con pochi colori: l'interno di una stanza, con una finestra da cui s'intravede il cielo azzurro. La luce irrompe in un ambiente oscuro, dove c'è una figura femminile, distesa. L'erotismo implicito nella presenza della modella nuda è rivelato dalle dimensioni dei suoi seni (più grandi del volto) e della mano enorme, prensile, bestiale. Qualcuno si pone davanti alla fonte di luce. Ne vediamo solo l'ombra - una sagoma maschile, una piatta silhouette che sembra ritagliata con le forbici. Tecnicamente è difficile dipingere un'ombra senza renderla un'informe macchia grigia: per questo i pittori l'hanno sempre considerata con sospetto. Picasso dipinge l'ombra nera. E' quella che scientificamente si definisce "ombra portata": cioè non aderente al soggetto che la proietta. Questo soggetto, da cui è separata, rimane fuori dal quadro. Ma ne invade lo spazio con lo spettro..." di Melania Mazzucco
L'Autore
Biografia in brevePablo Picasso (1881-1973) nacque a Malaga, in Spagna, da un padre, insegnante nella locale scuola d’arte, che lo avviò precocemente all'apprendistato artistico. A soli quattordici anni venne ammesso all'Accademia di Belle Arti di Barcellona. Due anni dopo si trasferì all'Accademia di Madrid. Dopo un ritorno a Barcellona, effettuò il suo primo viaggio a Parigi nel 1900. Vi ritornò più volte, fino a stabilirvisi definitivamente.
Dal 1901 lo stile di Picasso iniziò a mostrare dei tratti originali. Ebbe inizio il cosiddetto «periodo blu» che si protrasse fino al 1904. Il nome a questo periodo deriva dal fatto che Picasso usava dipingere in maniera monocromatica, utilizzando prevalentemente il blu in tutte le tonalità e sfumature possibili. I soggetti erano soprattutto poveri ed emarginati. Picasso li ritraeva preferibilmente a figura intera, in posizioni isolate e con aria mesta e triste. Ne risultavano immagini cariche di tristezza, accentuata dai toni freddi (blu, turchino, grigio) con cui i quadri erano realizzati. Dal 1905 alla fine del 1906, Picasso schiarì la sua tavolozza, utilizzando le gradazioni del rosa che risultano più calde rispetto al blu. Iniziò quello che, infatti, viene definito il «periodo rosa». Oltre a cambiare il colore nei quadri di questo periodo cambiarono anche i soggetti. Ad essere raffigurati sono personaggi presi dal circo, saltimbanchi e maschere della commedia dell’arte, quali Arlecchino. La svolta cubista avvenne tra il 1906 e il 1907. In quegli anni vi fu la grande retrospettiva sulla pittura di Cezanne, da poco scomparso, che molto influenza ebbe su Picasso. E, nello stesso periodo, come molti altri artisti del tempo, anche Picasso si interessò alla scultura africana, sulla scorta di quella riscoperta quell'esotico primitivo che aveva suggestionato molta cultura artistica europea da Gauguin in poi. Da questi incontri, e dalla volontà di continua sperimentazione che ha sempre caratterizzato l’indole del pittore, nacque nel 1907 il quadro «Les demoiselles de Avignon» che segnò l’avvio della stagione cubista di Picasso. In quegli anni fu legato da un intenso sodalizio artistico con George Braque. I due artisti lavorarono a stretto contatto di gomito, producendo opere che sono spesso indistinguibili tra loro. In questo periodo avvenne la definitiva consacrazione dell’artista che raggiunse livelli di notorietà mai raggiunti da altro pittore in questo secolo. La fase cubista fu un periodo di grande sperimentazione, in cui Picasso rimise in discussione il concetto stesso di rappresentazione artistica. Il passaggio dal cubismo analitico al cubismo sintetico rappresentò un momento fondamentale della sua evoluzione artistica. Il pittore appariva sempre più interessato alla semplificazione della forma, per giungere al segno puro che contenesse in sé la struttura della cosa e la sua riconoscibilità concettuale. La fase cubista di Picasso durò circa dieci anni. Nel 1917, anche a seguito di un suo viaggio in Italia, vi fu una inversione totale nel suo stile. Abbandonò la sperimentazione per passare ad una pittura più tradizionale. Le figure divennero solide e quasi monumentali. Questo suo ritorno alla figuratività anticipò di qualche anno un analogo fenomeno che, dalla metà degli anni ’20 in poi, si diffuse in tutta Europa segnando la fine delle Avanguardie Storiche. Ma la vitalità di Picasso non si arrestò lì. La sua capacità di sperimentazione continua lo portarono ad avvicinarsi ai linguaggi dell’espressionismo e del surrealismo, specie nella scultura, che in questo periodo lo vide particolarmente impegnato. Nel 1937 partecipò all’Esposizione Mondiale di Parigi, esponendo nel Padiglione della Spagna il quadro «Guernica» che rimane probabilmente la sua opera più celebre ed una delle più simboliche di tutto il Novecento. Negli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale si dedicò con impegno alla ceramica, mentre la sua opera pittorica fu caratterizzata da lavori «d’après»: ossia rivisitazioni, in chiave del tutto personale, di famosi quadri del passato quali «Les meninas» di Velazquez, «La colazione sull’erba» di Manet o «Le signorine in riva alla Senna» di Courbet. Picasso è morto nel 1973 all’età di novantadue anni. Le opereIn aggiornamento
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