"Camera da Letto" di Georg Baselitz
Immagino ciò che pensate. Non c’è errore. Il quadro non è al contrario: il verso giusto è questo. O forse voi ormai siete abituati. Mi correggo. E’ ciò che ho pensato io, tanti anni fa, in Germania, entrando in un museo d’arte contemporanea dove si teneva una personale di Georg Baselitz. Credo di avere visto per primo questo quadro, attratta dalla musica arrogante dei colori: la coppia seduta, le teste all’altezza del mio viso, le gambe verso il soffitto. Immobili, arcaici e inespressivi come idoli esotici. E però, come quelli, capaci di emanare un’energia trattenuta e selvaggia.
A testa in giù per rivendicare la libertà
A quel tempo “arte contemporanea” era per me sinonimo di merda d’artista o di pop - dai barattoli di Warhol alle altre feticistiche merci di consumo; la costosissima Europa del Nord, che come molti studenti della mia generazione perlustravo con l’inter-rail e con pochi soldi in tasca, mi offriva per ricredermi i suoi musei gratuiti. La seconda cosa che ho pensato è che l’autore volesse provocare o scandalizzarmi. Ma non avvenne. Baselitz mi suggeriva un nuovo punto di vista da cui guardare il mondo e me stessa: è stato il primo pittore vivente che ho amato.
In seguito ho appreso che non vi fu scandalo nemmeno quando, nell’ottobre del 1970, Baselitz espose per la prima volta a Colonia i suoi quadri capovolti (aveva iniziato nel 1969, con Il bosco a testa in giù). Si aspettava dal pubblico una reazione forte, anche violenta: nel 1962, quando aveva esposto La grande notte in bianco, che raffigurava un uomo in atto di masturbarsi, qualcuno chiamò la polizia e il quadro fu sequestrato. I visitatori della galleria invece risero, pensando che fosse una trovata divertente. Non successe nulla. Eppure, i quadri capovolti erano molto più scandalosi del maschio onanista, perché sovvertivano - oltre la legge della gravitazione di Newton - una pratica artistica millenaria, e il principio stesso della rappresentazione. Contraddicevano i codici della visione e dell’interpretazione. E azzeravano anche l’antagonismo fra arte figurativa e arte astratta, che nel 1970 era ormai logoro. Perché i quadri capovolti di Baselitz erano l’una e l’altra cosa, e le immagini consuete del mondo, dipinte in modo tradizionale benché brutale, ribaltate mutavano di segno, e di senso. Insomma, capovolgevano la pittura stessa. Ma il capovolgimento non era una provocazione o una clownerie. Era una rivoluzionaria e deliberata rivendicazione di libertà. E perciò un atto da cui non c’era ritorno. Da allora, il capovolgimento dell’immagine è la firma di Baselitz. Paesaggi, teste, mani, ginocchia, amici, cavalli, cavalieri, mangiatori di arance. Ma il mio quadro prediletto è questo - che peraltro ha un gemello, perché Baselitz, come molti artisti, lavora sulla serialità e sulla variante. Ha realizzato Camera da letto sul finire del 1975. Baselitz dipingeva stendendo la tela a terra, anche camminandoci sopra e lasciandovi l’impronta delle scarpe, e solo dopo la raddrizzava in verticale. La colatura di questa fa pensare che l’avesse appesa coi colori ancora liquidi. Non eseguiva un disegno preparatorio. Non ha mai usato modelli in carne ed ossa. Ha sempre dipinto velocemente, coi pennelli e con le dita. A volte usava particolari e anatomie tratte dalla storia dell’arte (“se ti serve un piede, prendi quelli di Raffaello”, ha detto); spesso, come Bacon, fotografie. Queste ultime sempre quando doveva dipingere un nudo. Perciò forse anche mentre dipingeva Camera da letto aveva davanti a sé una polaroid coi due personaggi nudi. Che potrebbero essere il pittore stesso (cui l’uomo assomiglia) ed Elke, la moglie, ritratta con regolarità nel corso del tempo. Ma chi sono non conta.La loro forma appartiene al repertorio della figurazione tradizionale (la testa di lui tradisce perfino il classico pentimento, la correzione); l’incompletezza dei particolari anatomici (a lei manca un occhio, a entrambi i piedi) in contrasto col risalto dato agli organi genitali, e la fissità dei volti - da cui ogni psicologia è assente – garantiscono loro l’anonimato, e li rendono universali. Sono Adamo ed Eva, due amanti, due archetipi dell’uomo e della donna. Baselitz si riprometteva di dipingere quadri brutti, per andare controcorrente e per creare un’arte non convenzionale, violenta, aggressiva, impura. Forse ho un’idea malsana della bellezza, ma trovo irresistibile questa coppia - accampata in uno spazio vuoto e disadorno, senza contorni né confini (ai bordi la tela non è coperta di pittura), il colore che sgocciola come la pioggia sul vetro di una finestra. Fluidi e approssimativi come visioni oniriche, reali come presenze. Lui proietta un’ombra blu, lei ha dietro di sé il giallo: colori complementari, acidi, dissonanti. E il rosso, una fiamma che brucia e li divide. I due, nudi e disinvolti, coppia aperta e divisa, hanno qualcosa di così intensamente legato agli anni Settanta da esserne, per me, l’emblema. Camera da letto è il riflesso nello specchio di Scene da un matrimonio di Bergman, che peraltro è stato girato nello stesso periodo (1973). Ricorda le liti di Erland Josephson e Liv Ullmann, i loro dialoghi feroci e gli assordanti silenzi. L’uomo e la donna di Baselitz se ne stanno sulle loro sedie a gambe aperte, senza guardarsi, come dopo un coito furibondo, o un litigio, o entrambe le cose: quando le parole non bastano per comunicare, e tutto, troppo, è stato detto. Il fatto che siano a testa in giù li rende solo più autentici, e più veri. Le opere che abbiamo fatto si staccano da noi. Il tempo ci separa. Alcune svaniscono, altre le dimentichiamo. Sono legate a un’epoca, una circostanza - uno stato d’animo. Rientrarci è impossibile. Eppure è quello che facciamo. Gli scrittori riscrivono. I pittori correggono e attualizzano, adattando i quadri alle loro nuove visioni. Lo hanno fatto Tiziano, Van Gogh, Kiefer. Munch ha ossessivamente riprodotto fino a 25 volte i suoi quadri più celebri, fra cui la scena della coppia claustrofobicamente prigioniera di una stanza dove sta per essere (o si è già) consumato un litigio mortale. Baselitz, che del resto deve molto a Munch, ha creato i Remix dei successi di trent’anni prima. Li ha reinventati, deformati, infondendo loro nuova vita. E’ un modo di tornare giovane, ha spiegato: rifare un quadro significa renderlo contemporaneo delle nuove generazioni. Per quanto ne so, non ha remixato Camera da letto. La vita - così imperfetta e così fragile - non è ripetibile. |
L'opera n. 30
L'artista
Baselitz Georg. - Nome d'arte del pittore e scultore tedesco Hans-Georg Kern (n. Deutschbaselitz, Sassonia, 1938). Esponente di spicco della pittura espressionista, la sua ricerca pittorica è stata caratterizzata dalla scelta di colori violenti su quadri dalle grandi dimensioni dove prevalgono soggetti familiari e temi afferenti il disagio e la malattia mentale. Nella scultura e nella grafica, dopo essersi riappropriato della tradizione germanica, ha elaborato una ricerca originale in cui si evidenziano anche spunti desunti dall'arte italiana.
VITA E OPERE
Espulso per "immaturità sociopolitica" dalla Hochschule für bildende Künste di Berlino Est, ha completato gli studi (1957-62) alla Hochschule für bildende Künste di Berlino Ovest con H. Trier (1915-1999), esponente della pittura informale tedesca. Fin dalle sue prime opere B. si è espresso attraverso uno stile caratterizzato dall'uso di materie dense, cromaticamente accese, e da una gestualità violenta; con l'isolamento, la frammentazione e, dal 1969, il capovolgimento del soggetto ha superato le forme tradizionali della composizione e della prospettiva in opere di grande formato, nelle quali un ruolo primario giocano ricordi autobiografici di luoghi e di persone, memorie storiche e riferimenti culturali. Dai primi anni Ottanta l'artista ha sperimentato questo suo approccio materico-gestuale anche nel campo dell'incisione e della scultura; in quegli stessi anni, parallelamente all'emergere del neoespressionismo, la sua ricerca ha cominciato a ottenere più ampi riconoscimenti (nel 1986 il Keiserring di Goslar). B. ha insegnato pittura alla Staatliche Akademie der Bildenden Künste a Karlsruhe (dal 1978) e, dal 1983, alla Hochschule der Künste di Berlino. All'opera di B., presente nelle più significative collezioni e rassegne di arte contemporanea, sono state dedicate importanti mostre: nel 1990 alla Nationalgalerie im Alten Museum di Berlino, nel 1992 alla Kunsthalle der Hypo-Kulturstiftung di Monaco, nel 1995 al S. R. Guggenheim Museum di New York, nel 1999 al Deutsche-Guggenheim di Berlino. In Italia, dove B. ha spesso soggiornato e lavorato (a partire dal 1965, anno in cui gli fu assegnata una borsa di studio a Firenze), le sue opere, oltre che alla Biennale di Venezia (1980, 1995), sono state esposte in particolare a Firenze (1988, Palazzo Vecchio), Bologna (1997, Galleria d'arte moderna) Genova (2004,Palazzo della Borsa Nuova) e Napoli (2008, Museo Madre). Nel 1989 è stato insignito in Francia dell'onorificenza di Chevalier de l'ordre des arts et des lettres e nel 2002 di Commandeur de l'ordre des arts e des lettres. Capovolgere per stabilizzare
Dall'archivio di "Repubblica", l'estratto di un articolo di Achille Bonito Oliva sulla straordinarietà dell'opera di Georg Baselitz Storicamente l' arte, nella sua utopia positiva, è servita a mettere in piedi il mondo, ad organizzare una scena di veglia della realtà dove tutti gli elementi concorrevano operosamente alla rappresentazione.
Mettere in piedi significava esprimere la potenza del linguaggio che proiettava il bisogno del suo nuovo ordine di ribaltarsi sull' inerte quotidiano. Con le avanguardie storiche del XX secolo lo stato di veglia dell' arte si è espresso come speranza e desiderio di un anticipo e di un' attesa, una condizione a futura memoria che scavalcasse il presente per cavalcare il futuro. Da qui alcune volte l' intenzionale scandalo di un linguaggio necessariamente oscuro e la comprensibile ansia dell' artista nel produrre una testimonianza eroica attraverso il gesto solitario di un' opera alternativa. Tale condizione di utopia positiva si è riprodotta nell' inconscio collettivo delle neo-avanguardie fino agli anni Sessanta e Settanta, fino all' avvento della Transavanguardia che ha operato lo spostamento dell' utopia sotto il salutare segno del negativo, anche in Germania, nell' iconografia di Baselitz, Polke, Immendorf, Penck e Kiefer. Da quel momento e da questo momento utopia negativa significa consapevolezza dell' artista di costruire un ordine linguistico come testimonianza e traccia visiva di un' etica, l' unica capace di documentare un' identità solitaria. L' etica precorritrice di George Baselitz (..) consiste nel riconoscere l' uso storico della pittura e della conseguente edificazione di uno stato di veglia in cui le cose stanno in piedi nonostante tutto. Il nonostante tutto diventa la premessa svelatrice dell' artista tedesco che passa e sposta il valore della pittura nel suo rovescio. Rovesciare in questo caso non significa alterare semplicemente l' ordine costituito del linguaggio, la sintassi della rappresentazione in un nuovo ordine formale, il moralistico e politico gesto di capovolgere l' opera con l' intenzione pateticamente anarchica di metterla fuori uso. Piuttosto un' alterazione metonimica, saldamente fisica di chi decide l' uso di una abilità tecnica, quella di rovesciare non il dipinto ma il dipingere. Baselitz assume il rovescio della pittura come processo creativo, in cui la costruzione dell' immagine non approfitta delle tradizionali dimensioni dell' alto e basso e della legge gravitazionale; il piede è attratto dalla parte alta del quadro mentre la testa esercita la sua capacità di pensare ed inoltre di fondare la base fisica del linguaggio che sembra mostrare le categorie dell' impulso espressionista fuori da ogni decisione progettata. In tal modo l' immagine antropomorfica o di paesaggio oltrepassa l' antipatica precisione della puntigliosità descrittiva con il battito di una manualità fuori da ogni ordine precostituito. Nel territorio della pittura esiste un rispetto per la natura e per l' uomo che al rispecchiare preferisce la necessità organica di uno sviluppo dominato da priorità interne. La forma evidenzia un universo iconograficamente differenziato. Il problema di Baselitz non è quello di rovesciare il dipinto ed il senso della pittura per potenziarne la contemplazione. L' arte non è una semplice attività oppositiva, una schematica attitudine di puro rovesciamento, opposizione al disorientamento con uno ulteriore. In questo senso, Baselitz smaschera il sistema infantile delle avanguardie di mimare il disordine delle cose con un puro disordine linguistico. Egli adotta il metodo classico di utilizzare in maniera fertile lo storico disorientamento esistenziale per fondare un orientamento specifico del linguaggio. Essere classici significa dimenticare il proprio disagio esistenziale per approdare alla serenità della forma. Questa ovviamente non è una condizione psicologica ma partecipe del procedimento formativo dell' opera. Infatti Baselitz si appropria di un linguaggio storico dell' espressionismo per adoperarne le interne economie e non l' inevitabile significato. Nuovo è il senso della pittura di Baselitz che rende attendibile il suo rovescio evidenziandone una posizione differente dal semplice risentimento verso la sua storia. Il problema non è più quello di mettere in piedi il mondo ma di situare la pittura sotto il segno di un nuovo ordine interno. In questo Baselitz è nostro contemporaneo, in quanto rifiuta il gioco della stramberia, l' originalità del puro capovolgimento trovando piuttosto nella storia stessa la necessità del suo fare. L' arte diventa la dimostrazione quasi matematica che esiste nella realtà un pensiero che la accoglie e da qui una sorta di serenità figurativa. Infatti l' immagine non fuoriesce dal suo tracciato, anzi realizza pienamente anche il paesaggio che la circonda. La natura e l' uomo sono incancellabili, adottati nel diritto della loro pienezza, capaci di resistere ad ogni rovescio. Qui non esiste allusione o incompletezza, possibilità esterna di completare il senso dell' opera. La libertà o la prigionia dell' immagine è interamente assicurata dal suo risultato formale. Pittura silenziosa quella di Baselitz che, senza infliggere all' immagine mutilazioni di sorta, ne sviluppa pienamente l' estensione fino al suo pieno compimento estetico. Il linguaggio della pittura non vuole denunciare il mondo ma costruire una rappresentazione in fondo senza alternative, in qualche modo imperativa, assecondata dal basso tono cromatico, che non concede nulla all' emotività delle sovrapposizioni e delle trasparenze. L' artista abita con tono deciso la sua pittura, e non le affida la possibilità di porsi come sospetto di altro da sé. Ovviamente, l' altro da sé è il mondo. Ma il mondo e la sua storia sono il deposito di una decisione creativa plausibile, quella che autorizza l' artista a rovesciare la pittura e nello stesso tempo a costringere le immagini ad abitare l' ordine di questo rovesciamento. Baselitz ha realizzato dagli anni Sessanta a oggi una razza di quadri che si fanno compagnia fra loro e attraverso di essa ribadiscono il diritto all' esistenza e alla propria diversità. Tale orientamento è rivolto al disorientamento interno all' arte oltre a quello esterno del mondo. Artista europeo, Baselitz assorbe nell' opera il pensiero negativo della sua cultura, accettandone il dettato e adattandolo alle condizioni del nostro tempo. Egli accetta il disagio come oggettiva condizione della storia e orienta le sue figure con una decisione iconografica che paradossalmente le stabilizza: le rende giustificate. Anche quando Baselitz sembra cambiare la sua decisione, ristabilendo un ordine corrispondente all' esterno di alto e di basso, l' immagine ricorda l' ordine di un capovolgimento realizzato altrove, in quanto l' etica del fare resiste all' estetica del vedere. Arte ed estetica, fare e vedere trovano una felice coincidenza, mai dettata dalla casualità bensì dall' intelligenza resa esplicita grazie all' opera. L' uso saturo del colore rende ancora più evidente il senso dell' immagine seppure costruita col linguaggio pulsionale dell' espressionismo. Pittura meditata, quella di Baselitz, mediata da una forma che tiene alta la temperatura del suo essere, infine, pensiero visivo. Seppure perturbato, il tragitto della pittura di Baselitz, una volta accettato l' iniziale disorientamento della storia, procede imperturbato verso l' approdo finale della forma. Se l' ironia è il frutto di un' oscillazione tra l' essere e l' apparire, qui abbiamo un ancoraggio evidentemente costruito. Diritto o rovescio, non possono cambiare di molto il risultato. Il genius loci di quest' immagine è stabilizzato dall' uso di un linguaggio appartenente alle attitudini dell' artista che lo controlla per familiarità. Alla fine, l' artista fonda un universo abitato da immagini che creano il sospetto di un' abitabilità più estesa. Il compito dell' arte diventa quello di estendersi e di estendere, concentrando tutte le proprie energie intorno al suo obiettivo, e Baselitz ha dilatato lo spazio della pittura facendone il punto fermo dell' immagine. L' arte è la necessità di confrontarsi con un punto fermo. |