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"Pioggia, vapore e velocità"
Diventare vecchi è come approdare su un altro pianeta, mi ha detto una volta un anziano parente mentre cercava di spiegarmi quanto fosse cambiato il mondo intorno a lui. Nato quando al suo villaggio non esisteva l'elettricità e le persone si spostavano a piedi o con l'asino, aveva visto la prima automobile a dodici anni, parlato al telefono a quaranta, e guardato la televisione a più di sessanta. Molti vecchi hanno paura delle cose nuove. Lui ne era curioso. Sognava di viaggiare su un aereo. Anche J. M. W. Turner era così. Morti l'amato padre e il protettore più caro, lord Egremont, pensionato dopo 31 anni da professore di prospettiva, attraversò una fase malinconica: temeva di non saper abitare il futuro. In un quadro del 1838, La valorosa Temeraire, rappresentò proprio il tramonto di un mondo: l'enorme veliero che aveva partecipato alla battaglia navale di Trafalgar viene trainato al molo, dove sarà rottamato, da un arrogante battello a vapore. È il suo ultimo viaggio, e il veliero lo compie nella luce del crepuscolo.
Il movimento inarrestabile
Ma a differenza della Temeraire, Turner non si lasciò rottamare. Stava perdendo il favore dei committenti, che non apprezzavano più le sue "pitture sfocate e senza disegno", e si ritrovava spesso bersagliato da critici, già pittori falliti, irridenti quanto malevoli, cui non si degnò mai di rispondere. Non perse mai il piacere di dipingere, né di vivere. Gestiva anzi con abilità camaleontica due esistenze separate - una da pittore ricco e vezzeggiato dall'aristocrazia, l'altra da londinese dei bassifondi, energico frequentatore dei bordelli di Margate. D'estate si regalava viaggi avventurosi in Italia e in Svizzera.
Nel 1844 espose 7 quadri alla Royal Academy (istituzione di cui era membro dal 1802): 3 vedute di Venezia, 3 marine e questo. Gli spettatori rimasero sbalorditi. Era la prima volta che un treno - il cavallo a vapore che da pochi anni affumicava le campagne londinesi - diventava oggetto di rappresentazione artistica. L'effetto sui visitatori può essere paragonato a quello dell'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat, il film dei fratelli Lumière: quando apparve sullo schermo, nel 1896, il pubblico fuggì, atterrito. Turner aveva intuito da tempo il potenziale artistico della modernità. Anche l'artificiale, come il naturale, poteva generare il sublime. Insieme ai paesaggi classici e romantici, agli orridi precipizi alpini, agli incendi e alle burrasche di mare, ormai dipingeva anche baleniere e battelli a vapore. Il fumo delle ciminiere gli offriva la possibilità di studiare varianti della caligine. Turner sapeva riprodurre l'umidità (e l'acqua) con prodigiosa abilità tecnica. Gli rimproverarono "l'indistinto " dei suoi quadri, che sembravano "verosimili rappresentazioni del nulla". Lui rispose: "L'indistinto è il mio forte". Pioggia, vapore e velocità è costruito con il rigore compositivo quasi geometrico che Turner aveva imitato e appreso da Poussin e Claude Lorrain, e con schizzi, grumi e turbini di colore alla Rembrandt. Competitivo e ambizioso, era sempre stato convinto di poter fare come i suoi maestri e meglio dei suoi rivali. La grigia luce lattiginosa e l'atmosfera satura di pulviscolo dissolvono la solidità delle forme. Nessuna linea di contorno le trattiene, impedendo loro di evaporare. Più che gli oggetti, rappresentano il mezzo immateriale (fumo, luce e acqua) attraverso il quale sono viste. Le tre arcate del ponte, sulla sinistra, richiamano quella del ponte ferroviario di Maidenhead, a destra, su cui s'avventa la locomotiva. Il taglio obliquo dell'inquadratura, la prospettiva e l'angolazione non frontale aumentano la profondità di campo, accrescendo la sensazione di un movimento inarrestabile. Nell'acqua del fiume sottostante baluginano i corpi evanescenti dei bagnanti, e una barchetta di pescatori (cui corrisponde, nella campagna a destra, un aratro). Il Tamigi era sempre stato caro a Turner, che era cresciuto vicino al fiume e amava vederlo mentre dipingeva. Il treno emerge dalla nebbia e dalla pioggia come una massa scura dagli occhi di brace. Ma Turner non aveva terrore del "mostro infernale", come molti suoi contemporanei. Per spirito di conoscenza e d'avventura, per vedere coi propri occhi ciò che voleva dipingere, aveva affrontato tempeste di neve e tempeste sul mare: aveva sperimentato subito la ferrovia. La presunzione degli uomini e la caducità delle loro ambizioni (Fallacies of Hope era il titolo di un suo poema) lo avevano sempre ossessionato e intristito. La decadenza degli imperi di Cartagine, Roma e Venezia avevano alimentato la sua passione romantica per la rovina. Ora, a 69 anni, il suo pessimismo tragico virava in serena ironia. Nel 1844 gli uomini credevano di aver inventato la velocità. Che la velocità fosse sinonimo di modernità (anni dopo, ci avrebbero creduto anche i futuristi). Turner rimase scettico. Dipinse il treno in corsa sul ponte inaugurato da appena 5 anni. E davanti al treno, in primo piano, quasi indecifrabile nella macchia di colore, la creatura che è sempre stata simbolo di pavidità. Una piccola lepre, che fugge sulle rotaie. Il quadro sconcertò come una stravaganza.Il principale estimatore di Turner, Ruskin (che lo aveva sempre difeso, anche con veemenza), si limitò a commentare che lo aveva dipinto "per mostrare cosa sapeva fare perfino con un brutto soggetto". Rimase invenduto e dopo l'esposizione Turner lo riportò nella sua galleria privata. Non se ne dispiacque. Esponeva sempre meno e ormai realizzava solo per sé la maggior parte delle sue opere. Non mostrava a nessuno i suoi acquerelli astratti. Ricomprava sul mercato i quadri più riusciti che aveva dovuto vendere in gioventù. Aveva già deciso di lasciare in eredità allo Stato inglese tutto ciò che aveva creato e che era ancora in suo possesso: 300 tele e 20.000 fogli. I posteri lo avrebbero compreso. Benché la sua vista cominciasse a offuscarsi, vedeva ancora assai lontano. La vecchiaia non è una malattia, ma un'opportunità. Il treno non prenderà la lepre. La velocità è nell'attitudine alla corsa, non nella potenza del motore. A quasi settant'anni, Turner è più giovane di tutti i suoi colleghi e dei suoi spettatori Turner e il grande tour italiano
Dall'archivio di Repubblica, l'estratto di un articolo di Barbara Briganti sul legame tra il pittore inglese e il nostro Paese
Il viaggio in Italia di Joseph Mallord William Turner ebbe inizio molti anni prima che il giovane pittore inglese salpasse effettivamente da Dover, diretto verso quella sorta di Terra Promessa, luogo eletto dell'arte, dell'architettura e del pittoresco. Iniziò quando Turner, giovanissimo e già enfant prodige, acquisiva la propria formazione artistica, quasi da autodidatta, studiando e copiando le vedute italiane nelle raccolte dei suoi nobili protettori. Quelle vedute, di chiara discendenza da Claude Lorrain, immerse in una luce radente, appena mascherata da quinte leggere di alberi, furono la sua scuola.
(...) Le vicende della politica europea gli impedirono di intraprendere il viaggio per molti anni, e solo nell'estate del 1819, quando era ormai più che quarantenne, finalmente si accinse a partire per il Sud. Nulla lo aveva preparato, nonostante il suo lungo fantasticare, alla rivelazione della luce italiana e dell'impatto di quella luce sugli edifici. Ci fu dapprima Venezia, poi l'Appennino, ma quella prima volta ci fu soprattutto Roma. Era un viaggio di studio, e molto tempo doveva essere dedicato al disegno, ma l'opera che espose alla mostra annuale della Royal Academy dopo suo ritorno rivela già compiutamente il rapporto tra Turner e l'Italia. L'Italia è il sogno, una visione irreale ma anche possibile, un inestricabile nodo di cultura e di luce. La realtà e la verosimiglianza sono relative, e Raffaello, ritratto in una scala onirica e spiazzante, può affacciarsi dalle Logge con la sua Fornarina in versione Restauration, sul colonnato di Bernini e sulla Campagna, nella luce abbagliante di un tramonto autunnale. Questa è ancora la luce dei paesaggisti classici, calda e bassa sull'orizzonte, appena schermata da una quinta, ma vicina e quasi percepibile nella sua incandescenza. La luminosità calda e vibrante di quell'autunno italiano rimase a lungo con lui e si impose, in maniera improbabile e affascinante, su dipinti di soggetto inglese o scozzese, come in una veduta di Edimburgo trasfigurata in una sorta di Foro Romano. Alla fine, quasi dieci anni dopo, la nostalgia di quella luce lo riportò a Roma. Sarebbe stato il suo ultimo soggiorno, anche se al momento di partire era sicuro che sarebbe tornato, e quello più proficuo. Turner cinquantenne era ormai uomo di fama europea e di cultura profonda, i suoi quadri, sia paesaggi, che soggetti storici o allegorie, sono intrisi di citazioni raffinate e complesse, ma fondamentalmente raffigurano soprattutto la luce. Una luce la cui sorgente, nel corso del tempo, impercettibilmente si sposta verso il centro del quadro. Completamente assorbito dalla trasposizione pittorica della luminosità, la verosimiglianza del soggetto diventa per lui totalmente ininfluente. La prima parte della mostra ferrarese termina su due vedute romane immerse in un vapore giallo-oro; sono quasi due pendants: Roma moderna e Roma in rovina. Quel Campo Vaccino frequentato da capre e monaci è quanto meno inattuale. Probabilmente basato su stampe di Piranesi, il quadro rappresenta il Foro Romano prima degli interventi francesi dell'inizio del secolo e quindi con un aspetto che Turner non poté mai vedere. Ma ciò che egli inseguiva non era certo una rappresentazione della realtà. Ancora una volta l'Italia è sogno, memoria, pastorale, poesia; ma è anche studio puntiglioso sulla resa dell'atmosfera e della lontananza, sui riflessi nell'acqua, sulla nebbia, le ombre, la plasticità eterea dei volumi, è infine meditazione squisitamente romantica sui rapporti tra cultura e natura. I viaggi di Turner in Italia si moltiplicarono e come in una strada segnata da brusche svolte e rivelazioni, portarono a nuovi tentativi e nuove scoperte. Solo nella maturità, e dopo avere iniziato a Londra il suo percorso verso una pura resa pittorica, nel corso di un breve ed intenso soggiorno, si confrontò con Venezia, la sua storia artistica e la liquidità delle sue luminosità. Sono questi gli acquerelli più famosi e travolgenti di Turner, ormai quasi astratti campi di colore, rarefatte visioni nelle quali è quasi impossibile riconoscere luoghi reali. Nella nebbia e nelle miriadi di goccioline dell'atmosfera, la luce che modella edifici e spazi pervade completamente la visione. Con l'aiuto dell'acqua che, nelle sue varie forme, riflette e smaterializza, Turner riesce ad entrare nella luce stessa, senza più preoccuparsi della provenienza e delle gradazioni. Le tele che furono il risultato di quest' ultimo viaggio, talvolta dipinte molti anni dopo, sull'onda della memoria e appunto del sogno, sono forse le più commoventi testimonianze del debito contratto dall'artista con l'Italia. Ci sono sicuramente nella produzione turneriana quadri che rivestono una importanza maggiore delle dorate vedute italianeggianti; ci sono le tempeste e gli incendi, il fuoco e le cataratte d' acqua, il fumo e il vento, le catastrofi e la velocità ma forse nulla di tutto questo avrebbe potuto esistere se qui, sotto l'influenza della pittura antica e della luce del Mediterraneo, Joseph Mallord William Turner non avesse scavato per primo e meglio di chiunque altro l'essenza della luce nella pittura. |
L'Opera n. 51
Nome: " L'Autore
SusaSnne valadon
William Tuner
BiografiaJoseph Mallord William Turner è nato a Londra il 23 aprile 1775 . Pittore ed incisore appartenente al movimento romantico, precursore e ispiratore dell’Impressionismo. Diventato famoso per le sue opere ad olio, Turner è anche stato uno dei più grandi maestri britannici nella realizzazione di paesaggi all’acquerello. Ebbe due figli da Sarah Danby ma con il passare degli anni divenne sempre più solitario, soffrendo di lunghi periodi di depressione. Morì a Chelsea il 19 dicembre 1851 a casa della sua amante Sophia Caroline Booth. I suoi resti si trovano tutt’oggi nella Cattedrale di Saint Paul.
Entrò alla Royal Academy of Arts nel 1789 quando aveva solamente 14 anni. Da subito mostrò un evidente interesse per il paesaggio e dopo un solo anno di studi all’accademia era già riconosciuto come un giovane talento. Nel 1790 ebbe l’onore di esporre un acquerello all’Accademia mentre nel 1996 espose il suo primo lavoro ad olio. Da quel momento, per tutta la vita, espose ogni anno le sue opere presso la Royal Academy of Arts. Viaggiò in Europa, visitando le regioni che circondano l’arco alpino, soffermandosi a Parigi per studiare le opere esposte nei grandi musei. Tornato in patria continuò a dipingere i paesaggi dei suoi viaggi e dei luoghi in cui viveva. Non si sposò mai, vivendo per trent’anni con il padre cui era straordinariamente legato e che gli rimase accanto come assistente. Nonostante ai suoi tempi fosse visto come una figura controversa, attualmente è considerato l’artista che ha elevato l’arte della pittura paesaggistica allo stesso livello della celebre pittura storica. Molto presto venne riconosciuto come un genio. Il suo stile innovativo portava un’ampia varietà cromatica e una tecnica di stesura del colore più suggestiva che mai, i soggetti dei suoi dipinti si ispiravano per lo più a ciò che la natura stessa offriva. La violenza delle catastrofi naturali lo affascinava: neve, incendi e tempeste erano le sue muse. Le figure umane sono sì presenti nei dipinti, ma soprattutto in qualità di amati esseri deboli e vulnerabili, inferiori per bellezza e virtù rispetto al mondo naturale. L’indomita natura, selvaggia e imprevedibile era secondo Turner l’espressione vera di Dio. La sua opera ebbe grande influenza sul movimento impressionista, affascinato dai colori brillanti che egli usava per evocare la luce stessa. Se ne distacca però in quanto lontano dalla ricerca della rappresentazione artistica fine a sé stessa, impegnato piuttosto ad immortalare la forza dell’opera di Dio. Le opere
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