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"La sposa ebrea" di Rembrandt
Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l'amore è forte come la morte", recita il Cantico dei Cantici. Didascalia adeguata al quadro di Rembrandt che rappresenta la più potente immagine dell'amore fra un uomo e una donna che sia mai stata dipinta.
Due figure monumentali emerse da un indefinito spazio bruno occupano la superficie della tela. Sulla destra s'intravede la macchia rutilante di un albero di melograno, ma non c'è nessun altro indizio di luogo o contesto. Solo due personaggi che non si guardano nemmeno ma si affidano l'una all'altro, intenti a comunicarsi, coi movimenti delle mani e l'attitudine protettiva e accogliente dei corpi, il loro affetto e desiderio. Al gesto di lui - toccare con la mano destra il seno della donna che abbraccia con la sinistra (fino a quel momento, in pittura, allusione all'amore mercenario), viene restituita la purezza di un giuramento, che lei ricambia, sfiorandogli le dita. Al gesto della mano destra di lei, che indugia sul pube, la pienezza di un rapporto che sarà spirituale e insieme carnale. Il melograno, simbolo e promessa di fertilità, benedice l'unione. Dai loro abiti elegantissimi di seta e dalle pietre preziose (lei indossa tutti i suoi gioielli: anelli alle dita, braccialetti ai polsi, filo di perle al collo) si sprigiona una calda luce d'oro e di fiamma, equivalente visivo del sentimento amoroso. La potenza dell'amore
Il titolo del quadro, La sposa ebrea, è posticcio. Gli fu apposto solo quando ricomparve sul mercato artistico. Nel 1833, il banchiere Adriaan van der Hoop lo inventariò come "una sposa ebrea che il padre adorna con una collana di perle". Interpretava così l'apparente differenza d'età fra gli sposi, ignorando che i personaggi ritratti da Rembrandt non hanno età, perché il pittore non dipinge l'istante caduco ma la dinamica dell'esistenza e può far presagire l'adulto nel bambino e la vecchia nella giovane: ciò che cattura è l'essenza della persona, nella corrente del tempo. Nei successivi passaggi di proprietà, il padre divenne il marito, ma la sposa rimase. Che fosse ebrea è un'illazione senza riscontri documentari, o forse un desiderio. Rembrandt, che aveva abitato nel quartiere ebraico di Amsterdam, ritratto notabili della borghesia sefardita e trascritto caratteri ebraici nelle sue opere, era divenuto nel XIX secolo il pittore prediletto dai collezionisti ebrei, e questo quadro sanciva la sua presunta vicinanza al popolo eletto. Chaïm Soutine andò in pellegrinaggio da Parigi ad Amsterdam, senza un soldo in tasca, solo per ammirarlo. Ci tornò altre volte. Per lui era il "quadro più bello del mondo".
Sulla tela si legge la firma - Rembrandt f. (fecit) - e la data di composizione: 16.. Lacunosa delle ultime due cifre, come se l'opera fosse stata lasciata incompiuta. Rembrandt sembrava non voler finire i quadri. Per pigrizia, arroganza o stravaganza, dicevano i contemporanei che - dopo averlo esaltato e arricchito - gli avevano voltato le spalle. Noi diciamo: perché si era avventurato in sperimentazioni sempre più estreme, e nel non-finito che esigeva la collaborazione dell'osservatore aveva trovato lo stile più congeniale alla sua visione della pittura e della vita. La sposa ebrea è unanimemente assegnata agli anni fra il 1663 e il 1666. Anni di lutti e dolori, di liti coi creditori e i committenti delusi, ma anche di creatività sublime che gli ispira capolavori come Lucrezia o Simeone con Cristo bambino. Abbandonando la grandiosità barocca e il violento chiaroscuro dei decenni precedenti, si concentra su soggetti più interiori: le figure perdono forma, diventano liquidi fantasmi definiti dal colore, creature evanescenti intrise di luce. Non sappiamo se l'uomo e la donna fossero due ricchi borghesi che in occasione del loro matrimonio gli avevano commissionato, come usava, un ritratto di coppia. Vani sono stati tutti i tentativi di identificarli. I due sposi compaiono anche in altri ritratti di quegli anni, con le figlie, un garofano o una lente in mano. Come fossero presenze intime per il pittore. Non necessariamente reali. Pace, felicità e bellezza non abitavano più con lui. Rembrandt li creava altrove. Dipingeva quasi solo opere che parlano di vita, amore e redenzione. Le radiografie hanno mostrato che la donna in origine sedeva sulle ginocchia dell'uomo, come in un disegno degli anni Cinquanta in cui Rembrandt (citando un affresco di Raffaello nelle Logge Vaticane) aveva raffigurato Isacco e Rebecca, progenitori del popolo ebraico, che si abbracciano in un giardino. Dunque La sposa ebrea sarebbe un quadro di storia biblica, come molti altri di Rembrandt. Però i suoi contemporanei amavano farsi ritrarre idealizzandosi nei panni di eroi classici o biblici, e perciò il quadro potrebbe essere l'una e l'altra cosa. O nessuna delle due. Rembrandt abbatte le barriere dei generi e trasfigura il soggetto, sottraendolo a fonte e contingenza per coglierne l'essenza spirituale. Disloca i personaggi - chiunque dovessero essere - in un interno astratto, fatto di luce e di colore. Questo acquista nella Sposa ebrea una consistenza così stupefacente da rendere alla vista il godimento del tatto. Sulla gonna escresce in ruvidi grumi di porpora, sul mantello di lui sembra abraso con la spatola, sulla fronte della sposa adagiato con suprema delicatezza. La tela dipinta - una crosta granulare, pastosa, bitorzoluta - è un'epidermide, barbaglia incandescente come brace, vibra e pulsa come materia vivente. Questo quadro castissimo trasuda erotismo. Ma è un atto d'amore anche metaforico. Celebra l'amore - fisico - che un artista prova per la pittura. Per i pigmenti che miscela, depone strato su strato, fa essiccare e poi raschia, per le tecniche pittoriche che tutte impiega, le forme che inventa col pennello, la trasparenza delle velature, i riflessi della luce sulle stoffe. Amore in-finito e perciò inestinguibile. Non la vecchiaia, non la malattia, la morte delle compagne e dei figli, la rovina economica, l'incomprensione dei contemporanei e la disperazione, possono distoglierlo dalla sua vera sposa. Perché "l'amore è forte come la morte". Con gli occhi di Rembrandt
Dall'archivio di Repubblica, un articolo di Barbara Briganti sul modo di vedere gli oggetti, i volti, i particolari (e la luce) del grande pittore
(...) Da un lato c' è il mondo visto dagli occhi di Rembrandt, più frequente nell'opera grafica che in quella pittorica, uno spazio geograficamente e socialmente limitato. è un mondo pragmatico e severo, improntato da luterano rigore, abitato da mercanti ed esattori delle tasse, contadini e mendicanti. Personaggi visti con realismo quasi spietato da un uomo che viveva solo attraverso i propri occhi e che all'universo visibile non aggiungeva né filtri né grazie. Un mondo naturale piatto e sterminato, solcato da canali e acquitrini, al quale rari alberi danno profondità, dove l'orizzonte è talmente lontano da essere appena percepibile e il cielo lattiginoso è solcato da nuvole sfilacciate. Vi si ritrovano dettagli appena accennati nella caligine o nella nebbia, minuscoli campanili e mulini dalle ali scomposte, grandi come capocchie di spillo.
Un mondo in bianco e nero fatto di luci violente che bisogna sapere guardare con pazienza, sforzando i nostri occhi, organi quanto mai difettosi e carenti, per scoprire cosa succede nelle ombre profonde e vellutate. Un mondo in cui la materia: nuvole e foglie, pellicce e velluti, carni grasse e burrose, è raffigurata con tale minuzia che si finisce col chiedersi come funzionavano gli occhi di Rembrandt, quale microscopica qualità possedevano per controllare la punta che scalfiva la vernice sulla lastra metallica. Solo ingrandimenti macroscopici ci permettono di apprezzare la regolarità del tratto, la precisione dei limiti che circondano i particolari. Ma noi conosciamo gli occhi di Rembrandt, anzi possiamo vederli. Nessun pittore si è rappresentato con tanta frequenza, e quegli occhi che sappiamo essere stati chiari, di un pallido grigioverde e lievemente asimmetrici, ci rincorrono nei tanti ritratti che vanno dalla gioventù alla maturità. Occhi intelligenti, talvolta spiritati e talvolta pensosi, occhi che non si dimenticano facilmente, aperture sull'anima e sul dramma contingente. E gli occhi di Rembrandt sono anche lo sguardo dei personaggi raffigurati, uomini paludati di scuro che ci scrutano con aria sorniona o mite ed espressione stupita o attenta, sono lo sguardo complice di Hendrikije al bagno e quello miracolosamente sensuale, abbandonato e felice della donna del Letto Francese ottenuto, in tutta la sua sconvolgente complessità, solo con una piccola scalfittura di punta secca. |
L'Opera n. 49
Armando Sodano: "Mentre le mani si comunicano sentimenti e desiderio, i due volti si perdono nelle spazio indefinito: preludio a un'unione in carne e spirito. Qui si rappresenta l'amore, potente e infinito." L'Autore
Rembrandt Van Rijn
BiografiaRembrandt Harmenzoon van Rijn nasce a Leida - Olanda il 15 luglio 1606, da una famiglia benestante, che può offrirgli un'infanzia agiata ed una approfondita educazione.
La sua formazione artistica comincia come apprendista presso Jacob Isaaczoon van Swaneburgh, un modesto pittore di Leida e prosegue ad Amsterdam con Pieter Lastmann, uno dei più noti pittori di soggetto storico del tempo, grande ammiratore del Carracci e del Caravaggio. Nelle primissime opere dal 1625 gli oli e dal 1626 le acqueforti Rembrandt appare ancora legato al classicismo italianizzante dei suoi maestri. Solo intorno 1627-1628 Rembrandt si ritiene pronto per una sua personale pittura ed apre uno studio a Leida con Jan Lievens, lavorandovi fino al 1631. Il carattere della sua opera è fondamentalmente il luminismo: Rembrandt ha imparato la lezione del Caravaggio: la luce è protagonista indiscussa e determina la dinamica della costruzione del quadro, penetra nei ritratti rivelandone l'interiorità. Dopo la fama conseguita il primo grande quadro "La lezione di anatomia del professor Tulp", Rembrandt nel 1634, comincia ad essere ricercatissimo per ritratti ed opere religiose secondo parametri essenzialmente Barocchi. Nel periodo 1636-42 Rembrandt raggiunse l'apice della fama, ma già il suo stile si stava modificando tendendo alla sobrietà della composizione, alla pennellata larga e pastosa, al colore caldo e tonale, inserendo un nuovo soggetto, ritratto spesso dal vero: il paesaggio. Il risultato furono opere famosissime come l'acquaforte con la "Morte della Vergine" del 1639, "Paesaggio con ponte levatoio" del 1640 "Veduta di Amsterdam" acquaforte del 1641, "Addio di Davide a Gionata" e "Ronda di notte" del 1642. La morte della moglie molto amata, spesso sua modella e madre del figlio Tito, avvenuta nel giugno del 1642, gettano il pittore in una vita di intenso e disperato lavoro. Infatti il periodo che va dal 1642 al 1655 fu il più ricco e fecondo dell'attività di Rembrandt per gli effetti intensamente drammatici delle sue opere: dagliAutoritratti del Kunsthistorisches Museum di Vienna ai quadri religiosi "Adorazione dei pastori", la "Cena in Emmaus", dai nudi sensuali "Susanna e i vecchioni" del 1647 alle nature morte "Bue squartato", dai paesaggi "Paesaggio fantastico", "Il ponte di pietra", alle vedute olandesi "Paesaggio al tramonto", dai raffinatissimi disegni a penna ed a pennello, alle drammatiche e tecnicamente purissime acqueforti a puntasecca "I tre alberi" , "Le tre croci", "Faust nello studio" del 1652-53. Dopo la morte della moglie, non riuscendo a occuparsi da solo del figlio neonato, Rembrandt assunse una governante, che alla fine divenne la sua amante. Nella società puritana del tempo la vita di Rembrandt divenne fonte di continuo scandalo ed il lavoro nel tempo ne risentì, tanto più che, in seguito si incapricciò di una giovane modella con la quale convisse fino alla morte di lei e dalla quale ebbe una figlia. Dopo il 1655 Rembrandt dipinse ritratti "Jacob Trip", "La sposa ebrea", numerosi autoritratti di un'assoluta interiorizzazione, ritratti di gruppo "I sindaci dei drappieri" e soggetti religiosi "Giacobbe benedice i figli di Giuseppe" il "Ritorno del figliol prodigo". Mentre i gusti dei suoi conterranei in fatto di pittura stavano cambiando, la sua condizione economica peggiorò tanto che tutti i suoi beni compreso la sua casa vennero venduti all'asta. Rembrandt morirà solo e povero nel 1669 e con lui finirà il secolo d'oro della pittura olandese. Le opere
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