Sgarbi. Chiediamo il rientro dell'Adone di Antonio Corradini.
Uno dei capolavori della scultura barocca italiana, l’Adone di Antonio Corradini, sotto il falso nome di Endimione, è stato acquistato dal Metropolitan Museum di New York. La vendita è stata propiziata da uno studioso, Tomaso Montanari, sempre molto critico sull’amministrazione dei beni culturali e ostinato sostenitore della pertinenza delle opere al «contesto» in cui sono state concepite. Tanto più strano che, davanti a un capolavoro di questa evidenza, di cui egli ha osservato le affinità con le sculture del Duomo di Este e con alcuni gruppi per l’Elettore di Sassonia, l’Apollo e Marsia ora al Louvre, Zefiro e Flora ora al Victoria and Albert Museum, non abbia ritenuto di proporne l’acquisto allo Stato italiano, anche in considerazione dei suoi stretti rapporti con l’ex ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, per la riforma del Codice di tutela. Rimarrà sempre misterioso perché egli non si sia prodigato per questo prioritario obiettivo, e abbia anzi cercato di coprire questa omissione, di gravità morale e culturale, prima che penale, non esibendo regolari certificazioni di esportazione del ministero (che evidentemente non ci sono), ma una buffa e irrilevante carta di una presunta «agenzia internazionale», Art Loss Register, richiesta (a pagamento) dallo stesso mercante che ha venduto la magnifica scultura al Metropolitan. Il «documento» è semplicemente una tentata legittimazione postuma dell’acquisto; ma in realtà rivela un’infedele e approssimativa ricostruzione della provenienza dell’opera, attribuendone la proprietà, nel 1950, a un collezionista, Ottavio Fabbri, che a quella data aveva 4 anni. Maldestro tentativo assai rivelatore, per confondere le acque rispetto al momento reale dell’esportazione.
Ancora, ricerche più recenti indicano nella notevole collezione di Zaccaria Sagredo, con molti dipinti di Guercino, Bernardo Strozzi, Pietro da Cortona, Salvator Rosa, Piazzetta, Tiepolo, vari marmi di Giusto Le Court, di Antonio Gai, una «Velata» e due statue coricate, Adone e Venere del Corradini. Il Sagredo muore nel 1729 e le sculture sono ricordate in un inventario del 1755 e in un secondo del 1763, sempre con la stima assai alta di 450 ducati, a indicarne la considerazione. Sappiamo che Montesquieu fu tra i rari viaggiatori stranieri che visitarono Palazzo Sagredo, accompagnato dall’amico Antonio Conti. Montesquieu scrive: «Conti mi ha accompagnato presso il signor Sagredo, a Santa Sofia, che ha una casa molto bella, ornata di dipinti e sculture»; e immediatamente dopo fa riferimento all’Adone del Corradini. Se si considera che sullo scalone di Palazzo Sagredo vi sono ancora la Primavera e l’Autunno di Francesco Bertos, appare anche più forte l’opportunità che un’opera memorabile come l’Adone, una volta ritrovata, venga assicurata al patrimonio artistico italiano. Per questo è opportuno che le persone che hanno veramente a cuore il nostro patrimonio artistico e la sua integrità esprimano con la loro firma la volontà che con tutti i mezzi, dalla spontanea disponibilità del Museo americano, alle indagini della magistratura che con questo documento non possono ignorare la notizia di una ipotesi di reato, il capolavoro di Antonio Corradini ritorni in Italia e sia destinato alle collezioni d’arte veneziane con l’alto richiamo europeo della “perfetta” critica del barone di Montesquieu
Adone è una delle più complesse figure di culto nei tempi classici. Simboleggia la giovanile bellezza maschile ma anche la morte ed il rinnovamento della natura.
Endimione, personaggio della mitologia greca. Pastore, cacciatore o principe, talmente bello che fu addormentato per essere eternamente contemplato da Selen, dea della Luna.
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Montanari. Altro che il mio Endimione, Sgarbi guardi in casa sua all'Expo.
Da settimane, e su ogni mezzo di comunicazione, Vittorio Sgarbi sta portando avanti una violenta, odiosa e disperata campagna di diffamazione contro i primi firmatari (Francesco Caglioti, Andrea De Marchi, Daniele Benati, Marco Tanzi e alcuni altri) di un appello ai ministri Dario Franceschini e Stefania Giannini sottoscritto da oltre duecento storici dell'arte di tutto il mondo. Eccone il testo integrale:
«L’improvvisata convocazione di una congerie insensata di capolavori dell’arte italiana, provenienti dai luoghi più disparati, nel padiglione fieristico di Expo “Eataly”, è il culmine di due processi che si intrecciano inesorabilmente: la mercificazione e la privatizzazione del patrimonio culturale e la distruzione materiale e intellettuale del contesto. Ed è crudele il paradosso per cui sotto le bandiere della biodiversità si massacra ogni residuo legame delle opere d’arte con il loro territorio. La raffica di banalizzazioni commerciali irresponsabilmente affidate a un Vittorio Sgarbi è solo la più visibile manifestazione di questa deriva. Chiunque abbia a cuore il destino del patrimonio artistico italiano non può assistere in silenzio alla spirale che è stata imboccata negli ultimi tempi, con un crescente grado di improvvisazione. Troppi dimenticano o fingono di dimenticare quanto queste opere siano fragili, così come è dimostrato dagli incidenti piccoli e grandi che anche in tempi recenti non sono mancati. Ma al di là del repentaglio cui vengono sottoposte le opere, preoccupa il radicarsi di un atteggiamento diffuso che nel perseguire l’evento a tutti i costi dimentica le vere sfide poste dalla manutenzione e dalla salvaguardia del nostro inestimabile patrimonio: che sono l’aumento e la redistribuzione di una vera conoscenza fondata sull’innovazione del sapere, cioè sulla ricerca. Si dimentica che solo dalla conoscenza critica può nascere una vera crescita civile: quel «pieno sviluppo della persona umana» che la Costituzione segna come obiettivo finale della tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione. La grandezza dell’arte italiana è nel tessuto inestricabile, radicato in un territorio unico al mondo, per cui le opere maggiori e i contesti minori si illuminano a vicenda. Nell’insegnamento quotidiano noi docenti universitari di storia dell’arte cerchiamo di trasmettere ai nostri allievi la consapevolezza di questa complessità, l’importanza di capire le opere in relazione al contesto per cui sono nate, nei confronti specifici che ne rivelano le qualità uniche e irripetibili. Le mostre si stanno imponendo come orizzonte sempre più esclusivo del ‘consumo’ delle opere d’arte, per la fame di eventi che governa la società dello spettacolo: ma non è di queste mostre-zoo che abbiamo bisogno. Lo sradicamento selvaggio dal contesto delle opere d’arte, considerate alla stregua di meri prodotti da commercializzare, si è fatto sempre più frenetico e irragionevole, e promette sviluppi anche più sconsiderati, su scala globale. Questa deregulation – di cui la kermesse Tesori d’Italia rappresenta un emblema eloquente – deve indurre in tutti un serio esame di coscienza. Chiediamo dunque al ministro Dario Franceschini di introdurre nel Codice dei Beni Culturali articoli che disciplinino più severamente la movimentazione delle opere d’arte in Italia, garantiscano la tutela dei manufatti più fragili, restituiscano alle soprintendenze l’ultima parola, escludano le pressioni politiche, impongano tempistiche e progettualità, arginino le improvvisazioni dilaganti per cui non mancheranno mai l’imbonitore di turno e il politico complice. Il grande circo delle mostre rende evidente che la Repubblica non sta affatto tutelando il patrimonio storico e artistico della Nazione: gli storici dell’arte delle università italiane chiedono fermamente che essa ritorni a farlo». La risposta di Sgarbi a questa analisi non è stata sul piano dei contenuti culturali, ma su quello dell'aggressione alla reputazione dei singoli firmatari. Nel mio caso, sono qua a dovermi difendere da un suo articolo scritto per «Sette» il 31 luglio scorso. Sgarbi mi accusa di aver curato due mostre su Bernini; e di aver studiato e pubblicato una scultura italiana poi acquistata dal Metropolitan Museum di New York. Quelle mostre sono state il frutto di decenni di studio, erano ospitate in musei dello Stato (Palazzo Barberini a Roma, il Bargello a Firenze), erano imprese di ricerca ma erano anche pensate per il grande pubblico, hanno accolto seminari delle migliori istituzioni culturali a livello mondiale e sono state giudicate esemplari in recensioni apparse sulle maggiori riviste scientifiche. E se Sgarbi volesse comprendere quale abisso intellettuale separa queste due mostre dalla rassegna di Eataly, sono prontissimo a spiegarglielo, pubblicamente e con santa pazienza. L'Endimione (e non Adone) di marmo che per primo ho riconosciuto e pubblicato come opera dello scultore veneto del Settecento Antonio Corradini è certificato in Francia già nel 1950. Ho avuto notizia della statua quando si trovava nel Principato di Monaco, e l'ho studiata a Londra. Era dunque un'opera uscita da molti decenni dal patrimonio artistico italiano, e nulla avrei mai potuto fare per farvela rientrare: perché – come Sgarbi sa perfettamente – chi studia e pubblica un'opera non acquisisce alcun potere per condizionarne la vendita. Trovo molto triste esser costretto ad usare questo spazio per difendermi da insinuazioni risibili, quando il vero tema sarebbe l'enorme occasione perduta con Expo. Con tutto il denaro – pubblico e privato – gettato nelle infinite e inutili mostre milanesi si sarebbe potuto restaurare e mettere in funzione uno dei mille complessi monumentali collegati a tenute agricole che oggi versano nel degrado e nell'abbandono in tutta Italia. Così il nesso arte-nutrizione sarebbe stato davvero onorato, si sarebbe creato lavoro stabile e tutta questa imbarazzante retorica del nulla avrebbe almeno lasciato qualcosa di positivo e permanente. Ma si è fatto tutto il contrario. |
Sgarbi è critico d'arte, storico dell'arte, politico, Montanari insegna Storia dell'Arte all'Università Federico II di Napoli.
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A cura di Armando Sodano
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Marzo 2021
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