Si tratta con molta probabilità di un cippo fondativo della città stessa, posto a confine su quelle che potrebbero essere le mura perimetrali che delimitavano l’antica città di Abella.
L’importanza del ritrovamento è tale che già se ne stanno occupando vari studiosi, tra cui la dottoressa Rosalba Antonini, la quale ha già condotto specifici studi sempre qui ad Avella su iscrizioni in lingua osca, come quello sempre rinvenuto nella zona di San Pietro, località Santissimo, ora Via del Foro Avellano, su Maio Vestirikio (qui in foto); non si esclude la possibilità che anche quest’ultimo cippo possa ricondursi all’illustre personaggio avellano dell’epoca, firmatario anche del famoso Cippus Abellanus, attualmente a Nola, nel Seminario Vescovile, dove è stato creato un apposito Museo.
Notizia tratta dal sito del Gruppo Archeologico A. Maiuri di Avella.
Nella figura il Cippo Abellano, in lingua osca, conservato presso il Seminario di Nola.Leggi qui.
Datato come i precedenti tra la seconda metà del II sec. e il 90 a.C. dalla prof. Rosalba Antonini, è venuto alla luce in Località San Paolino, nella proprietà Salapete, durante indagini sistematiche condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sa-Av-Bn e Ce, sotto la direzione scientifica della dott.ssa Ida Gennarelli, ed eseguite dalla dott.ssa Natascia Pizzano.
La circostanza del rinvenimento riveste una particolare importanza in quanto rappresenta una situazione eccezionale per la documentazione epigrafica preromana in lingua osca diAbella. Infatti, per la prima volta è stato possibile localizzare con precisione la posizione originaria del documento.
“Il cippo era parzialmente ricoperto da un cospicuo ammassamento di ciottoli, descrive la dott.ssa Natascia Pizzano, nel cui angolo sud-est era localizzata un’area a forte valenza cultuale, caratterizzata da abbondante ceramica acroma, associata a vernice nera, numerose ossa di animali, riferibili quasi integralmente alla specie suina , e ad una specifica porzione scheletrica: la scapola. Al di sotto del cumulo di ciottoli era visibile un allineamento di grosse pietre, che definiva uno spazio rettangolare, all’interno del quale era una tibia umana, associata a pesi da telaio, quattro vaghi fittili biconici ed un asse in bronzo del tipo di Giano bifronte e prora di nave, successivo alla riforma unciale (post 217 a.C.). Poco più ad est è stato scoperto un battuto stradale, ampio ca 1.50 m, delimitato da ciottoli calcarei”.
Le epigrafi in lingua osca rinvenute ad Abella, in cui emerge la figura di Maio Vestirikio, autore di significative opere pubbliche, nelle quali il magistrato compare costantemente, seppure a vario titolo, in particolare si citano il famoso Cippo abellano, nel quale sono citati i termina, e l’iscrizione reimpiegata nel complesso monumentale pubblico in località Santissimo, costituiscono delle importanti testimonianze per la comprensione del ruolo delle oligarchie locali nel processo della romanizzazione.
L'osco, la lingua dei sanniti.
Anche noi, come i Romani, indichiamo la lingua parlata dai Sanniti con il nome di “osco”: è simile al latino, dal quale si distacca soprattutto nella fonetica e nella morfologia, oltre che nell'ortografia. Pur essendo di formazione più recente, si mantiene assai più conservativo del latino che ha subito un’evoluzione più marcata e veloce per le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che hanno caratterizzato il mondo romano.
L’osco trovò una forma scritta solo relativamente tardi: l’alfabeto osco nazionale deriva da quello etrusco, opportunamente modificato, e si formò in seguito ai contatti tra i Sanniti e gli Etruschi della Campania, nel corso dell’espansione italica verso la costa tirrenica nel V secolo; non venne tuttavia adottato in maniera generalizzata prima della metà del IV. Non sempre le epigrafi osche utilizzano i caratteri dell’alfabeto nazionale: in Lucania e nel Bruzio veniva comunemente usato l’alfabeto greco, mentre l’alfabeto latino è l’unico utilizzato nei testi di Peligni, Marrucini, Vestini, Marsi, Volsci e Sabini, raggiunti molto presto dall’influenza romana. I Frentani nel III-II secolo a.C. utilizzavano sia l’alfabeto osco che quello latino, come testimoniano alcuni graffiti su vasi di quest’epoca.
Non ci sono notizie né ci rimangono testi di una letteratura in lingua osca: l’unica forma letteraria attestata è la fabula atellana, una sorta di commedia dell’arte che, introdotta anche a Roma, vi ebbe una particolare fortuna tra il Il ed il II° secolo a. C.
Mancando la letteratura, la nostra conoscenza dell’osco deriva soprattutto dalla documentazione epigrafica. L’iscrizione più lunga è la Tabula Bantina, della prima metà del I° sec. a.C., che riporta la costituzione della città di Bantia. L’altro grande monumento in lingua osca è il Cippo Abellano, un trattato fra le città di Nola e di Abella, scritto nell’alfabeto nazionale. Una testimonianza di rilievo è la cosiddetta tavola di Agnone, proveniente dal territorio di Capracotta, dove è descritta l’organizzazione di un santuario e le cerimonie che vi si svolgevano durante l’anno. Vanno inoltre ricordate le numerose iscrizioni dal santuario di Pietrabbondante. Altre iscrizioni, graffite su vasi o impresse su tegole, si rinvengono un po’ ovunque nei siti di epoca sannitica, soprattutto nel santuario di Campochiaro e nell’abitato di Monte Vairano. Altre iscrizioni, ore scomparse, ci sono pervenute nelle citazioni dell’epoca del rinvenimento; tra queste quella relativa ad una statua di terracotta raffigurante Minerva, rivenuta nell’Ottocento a Roccaspromonte ed ora conservata a Vienna.