Il complesso monumentale del Castello di Avella (Fig. 1), attestato sui rilievi collinari che bordano ad Est la pianura campana, occupa una collina dai fianchi scoscesi situata sulla destra del fiume Clanis; alle sue spalle si stagliano i monti di Avella, barriera naturale che separa il comprensorio avellano-baianese dalla Valle Caudina. Il sito gode di una posizione strategica di controllo del territorio circostante, a guardia di un itinerario naturale che attraverso il passo di Monteforte Irpino mette in comunicazione la pianura campana con la valle del Sabato e conduce verso la Puglia e la costa adriatica.
Nell'area compresa tra le due cinte murarie, in forte pendio verso sud, sono visibili i resti di numerosi ambienti riferibili a strutture abitative; l’unico edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare, situata immedia-tamente all'interno della cortina muraria interna.
Nonostante rappresenti dal punto di vista monumentale uno dei complessi medievali più rilevanti della Campania, solo in anni recenti il Castello è stato oggetto di esplorazione sistematiche grazie alla disponibilità di finanziamenti destinati alla realizzazione di un parco archeologico. Le indagini, condotte tra il 2000 e il 2001 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino e Benevento, si sono concentrate sulla rocca allo scopo di definirne lo sviluppo planimetrico e di tracciare, su basi stratigrafiche, una prima periodizzazione delle sue fasi di occupazione.
Secondo una tradizione risalente all’abate Remondini (REMONDINI 1747, p. 273), dal castello sarebbe stato recuperato, prima di essere reimpiegato come soglia nell’attuale centro storico di Abella, uno dei più importanti documenti in lingua osca, ovvero il Cippo Abellano; è evidente che la sua provenienza dal Castello, dove poteva trovarsi già in condizioni di reimpiego, può non essere significativa ai fini della determinazione della collocazione originaria, in questa sede dunque, non tanto in rapporto alla complessa e dibattuta problematica connessa all’ubicazione del santuario di Eracle, cui si lega la testimonianza del cippo, quanto piuttosto in relazione ad una possibile occupazione della collina del castello già nell’antichità, si segnala che nel corso delle esplorazioni della rocca è stata recuperata una quantità non esigua di frammenti di ceramica figurata attica e italiota e di ceramica a vernice nera del V e IV sec. a.C. il carattere di residualità dei reperti, rinvenuti negli strati di crollo del mastio, impedisce per ora di confermare l’ipotesi — peraltro verosimile — di un’occupazione stanziale della collina nel corso di quei secoli.
Prima di esporre i risultati delle esplorazioni, si esaminerà ora brevemente il quadro delle conoscenze archeologiche per il periodo precedente alla nascita dell’insediamento medievale sulla collina del castello. Quest’ultima rappresenta infatti solo una delle tappe che contrassegnarono le vicende insediative dell’alta-media valle del Clanis; fino al periodo tardo-antico il principale nucleo di popolamento del territorio era rappresentato dall’ antica Abella, centro indigeno della mesogaia campana, le cui prime fasi di vita risalgono alla fine dell’VIII — inizi del VII sec. a.C. (CINQUANTAQUATTRO 2000, c.s.). il centro, che raggiunse il suo maggiore sviluppo tra il periodo tardo-repubblicano e la prima età imperiale, rispetto alla collina del castello si localizzava sulla sponda opposta del fiume Clanis, ad una quota inferiore (m 210 s.l.m.); l’abitato, cinto da mura di difesa, occupava una superficie di circa 25 ettari e si disponeva al centro di due vaste aree di necropoli, utilizzate senza soluzioni di continuità fino al periodo tardo-antico. Già a partire dalla piena età imperiale l’abbandono di alcuni settori dell’abitato documenta un processo di disgregazione del tessuto urbano; nel corso del IVsec. d.C. la città appare ormai in decadenza, se, come documenta un’iscrizione rinvenuta a Cimitile (CIL X 1199), Barbaro Pompeiano, consolare della Campania (333 d.C.), è celebrato per aver promosso lavori di ricostruzione, estraendo i materiali necessari dalle cave e non dai monumenti diruti. Nella carenza delle fonti, un’immagine di vitalità del centro riemerge tuttavia all’epoca di S. Paolino, vescovo di Nola, nell’episodio narrato dall’abate Remondini, secondo il quale Avella avrebbe concesso l’acqua delle sue sorgenti al centro di Cimitile, fornendo inoltre la manodopera per la costruzione dell’acquedotto (REMONDINI 1747, pp. 273-274).
Se fenomeni di continuità insediativa, almeno fino al V sec. d.C., si registrano lungo le fasce urbane a contatto con i principali assi della viabilità urbana, il cui andamento si riflette nella maglia stradale dell’attuale centro storico, sembra che nel corso dell’età tardoromana l’insediamento si fosse ormai frammentato in piccoli nuclei insediativi; ad uno di essi è probabilmente da ricollegare l’evidenza rinvenuta in località S. Paolino, sede di una delle due necropoli urbane di il Abella, dove, in un’area precedentemente occupata da sepolture di età Orientalizzante, fu individuato nel corso del 1970 (JOHANNOwSKY 1979, p. 28) un edificio di culto a pianta absidata, intorno al quale si disponevano alcune sepolture: le evidenze giacevano al disotto di uno strato di lapillo riferibile all’eruzione c.d. di Pollena, che fornisce dunque un terminus ante quem per la loro cronologia. Si ricorda, a completamento del quadro descritto, che un’iscrizione sepolcrale (CIL X, 1229; PARMA 2001) attualmente conservata nella Grotta di S. Michele, spesso chiamata in causa in riferimento al problema della Diocesi di Avella, attesta la presenza di un edificio paleocristiano dedicato a S. Pietro e che indizi archeologici a proposito sono emersi nel corso di recenti indagini condotte nei pressi della chiesa omonima attuale, che sorge lungo il decumano maggiore della città romana.
Il periodo tardoantico rappresenta un momento di svolta per le vicende di questo territorio, che fu oggetto delle scorrerie compiute dai Visigoti di Alarico (410 d.C.) e dai Vandali di Genserico (455 d.CD; oltre che alle trasfomazioni endogene su delineate, a questi episodi e alle indubbie ricadute negative degli eventi vulcanici verificatisi tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, è da attribuire un decisivo mutamento negli assetti territoriali e nelle forme di organizzazione del popolamento.
Se è noto l’esito di questo lungo processo, ovvero l’abbandono del sito della città romana e la nascita dell’insediamento longobardo sulla collina del castello, meno chiare ne appaiono le tappe e le dinamiche. Il passaggio tra la tarda antichità e l’alto medioevo è infatti un tema ancora non affrontato in modo sistematico dalla ricerca archeologica e spetta alle indagini future chiarire se l’attuale carenza dei dati sia dovuta alla parzialità delle ricerche o se invece non sia di per sé significativa di un momento di forte crisi nella storia del popolamento dell’ alta-media valle del Clanis.
Con la conquista longobarda della Campania Avella si trovò in una delicata posizione di “frontiera”, dovendo fronteggiare la presenza bizantina sulla costa rappresentata dai Ducati di Napoli e Capua. Alla metà del IX sec. con la Divisio Ducatus Beneventani si venne ad infrangere l’unità dello stato beneventano in due Principati: quello di Benevento, assegnato a Radelchi, che controllava le regioni interne dell’Irpinia, del Molise e del Sannio, e quello di Salerno, assegnato a Siconolfo, che aveva ampi sbocchi sul mare. Nella spartizione Avella fu assegnata al Principato di Salerno (ERCHEMPERTO 1995, cap. 19).
Le prime notizie dell’esistenza di una fortificazione ad Avella risalgono proprio alla metà del IX secolo quando la sua posizione di confine l’espose a numerosi attacchi e scorrerie, come quella compiuta dai saraceni nell’883. Nell’887 Avella fu presa dalle truppe bizantine di Napoli guidate da Atanasio; in quell'occasione fu fatto prigioniero il gastaldo di Suessula Landolfo che era stato lasciato al comando del castello da Guaimario I di Salerno (ERCHEMPERTO 1995, cap. 67 p. 71). Nella Chronica Monasteriii Casìnensis è riportata anche la notizia della devastazione di Avella, insieme con Cimiterium e Sarno. realizzata nel 937 in seguito ad una scorreria degli Ungari.
Non abbiamo notizie dei signori di Avella del periodo longobardo, se non in forma indiretta in due documenti del 1137 (COLUCCI 1999, p. 12), nei quali nella genealogia di un Dauferio, personaggio quindi di nome longobardo, è citato un comes di Avella d’epoca longobarda (d. Daufeii filius q.d. Iohannis, qui fuit filio q.d. Dauferii qui fuit comes de Abelle).
Con l’arrivo dei Normanni nell'Italia meridionale nell’XI sec. e lo strutturarsi del loro potere, anche nel castello di Avella fu posto un feudatario. Se nel periodo longobardo - come hanno rivelato gli scavi - il castello doveva prevedere sul sommo della collina una rocca, probabile residenza del comes, e un villaggio fortificato difeso dalla prima cinta muraria, in questa fase il complesso fu completamente ristrutturato con l’edificazione del donjon sul sito della precedente rocca e con l’ampliamento dell’area protetta attraverso la realizzazione della seconda cinta muraria, posta a difesa di un nucleo abitato.
Il primo feudatario normanno attestato dalle fonti è Aldoyno franco comes de Abelle et uni cx militibus Abersano (R.N.A.M. \7, 1857, pp. 119-120, doc. CCCCXL\/D. L’Aldoino citato in questo documento del 1087 utilizza ancora il titolo longobardo di comes e fa riferimento anche ad alcuni bisconti aut castaidei nostris, parlando di ufficiali del suo seguito che quindi conservano ancora il titolo longobardo di gastaldus. Tale situazione sembra riferibile ad un territorio da poco tempo sotto il dominio normanno, considerato che i successori di Aldoino non utilizzeranno più il titolo di comes. Appare poi sottolineato il rapporto di Aldoino con Aversa, quasi a sancire, attraverso il nferimento alla prima contea normanna d’Italia, la legalità dell’origine del proprio potere.
Discussa è la discendenza di Aldoino da Turoldo Mosca, milite normanno giunto ad Aversa nella seconda metà dell’XI sec., ipotizzata da diversi autori sulla base di tre documenti del 1074 (R.N.A.M. g 1857, pp. 63-64 doc. CCCCXX; pp. 65-66 doc. CCCCXI; pp. 69-70, doc. CCCCXXIII). Tuttavia il legame con la famiglia Mosca ritorna con il successore di Adoino nella signoria di Avella. Infatti le fonti dicono che nel 1129 questo feudo non era più guidato da Aldoino ma da Rainaldo (Il), figlio di Riccardo detto Mosca (CDV 1978, Il, pp. 317-318, doc. 174). Lo stesso Rainaldo compare poi in diversi punti del Catalogus Baronum (Catalogus Baronum 1972, par. 807, 839) che permette di ricostruire il suo dominio su diciassette feudi, di diversa importanza e dimensione. Nessuno dei feudi è esplicitamente indicato come Avella, ma già il Cuozzo (Cuozzo 1984, p. 230) e con ulteriori affinamenti il Colucci (CoLucci 1999, p. 16), identificano Avella nel feudo che il conte di Buonalbergo aveva concesso a Rainaldo, con l’obbligo di fornire all’esercito regio quattro cavalieri (CataiogusBaronum 1972, p. 148).
Successore di Rainaldo fu il figlio Riccardo d’Avella, di cui sappiamo solo che fu ucciso nel 1256, durante la difesa del castello d’Aversa assediato da Manfredi (JASMILLA 1868, pp. 156-157). La famiglia Mosca sembra essersi immediatamente schierata dalla parte dei nuovi dominatori angioini. Infatti il successore di Riccardo fu Rainaldo (IV) d’Avella, probabilmente figlio di Riccardo, che ebbe alti onori alla corte angioina; egli svolse infatti diverse importanti missioni diplomatiche e nel 1294 fu nominato grande ammiraglio del regno (SCANDONE 1917-1918).
A Rainaldo (IV) d’Avella successe la figlia primogenita Margherita, alla cui morte prematura, agli inizi del XIV sec., i feudi dei de Avella passarono alla secondogenita Francesca, sposa in seconde nozze di Amelio del Balzo. Con Francesca, morta vecchissima nel 1371, si estingueva la famiglia che per due secoli aveva dominato Avella (COLUCCI 1999, pp. 34- 36). Giovanna figlia di Amelio del Balzo sposò Nicola lanvilla, al quale portò in dote la contea, il cui possesso gli fu confermato nel 1380 dalla regina Giovanna i.
Nel 1432 Avella passò agli Orsini conti di Nola. Al capostipite Raimondo successe il figlio naturale Felice che, nel 1459, avendo parteggiato per gli angioini, fu privato di tutti i suoi beni. In questo periodo il castello subì danni in seguito ai terremoti del 1456 e del 1466 che devastarono le aree interne della Campania (FIGLIUOLO 1988, II, p. 132).
Sotto il dominio degli Orsini il castello sembra andare incontro ad un periodo di crisi. In un documento conservato nell’archivio spagnolo di Simancas del 1529 (un anno prima che fosse ceduto a Girolamo Pellegrino per 14743 ducati), il castello di Avella è così descritto: «forteleza con una terra iunta disabitata; sobre un monte sta el castello, mal tratado dunque antiguamente era bello y grande» (CORDELLA1997, p. 58). Dalla descrizione appare chiaro come l’abitato all’interno del castello fosse ormai in profonda crisi e la fortezza versasse in pessime condizioni.
Il dominio su Avella passò nel 1534 ai Colonna; questi edificarono il palazzo baronale ai piedi della collina del castello, nel borgo situato dove era l’Avella classica, contribuendo ulteriormente alla crisi dell’abitato ubicato nella cinta fortificata del castello.
Dopo alcuni trasferimenti di proprietà il castello passò a Carlo Spinelli, conte di Seminara (MUOLLO-COPPOLA 1996, p. 436). Nel 1553 Pietro Antonio Spinelli restaurò la fortezza, come testimoniato da un’epigrafe, oggi conservata all’interno del Palazzo Ducale nel centro storico di Avella e originariamente murata sulla porta d’accesso al castello, riportata anche dal Remondini: «Pietro Antonio Spinello Seminariensi Comiti qui arcem hanc temporem iniuriam collapsam in splendidiorem formam restituit afundamentis» (REMONDINI 1747, p. 160).
Dal 1578 al 1604 il feudo di Avella fu tenuto da Ottavio Cataneo, dal quale passò, fino all’eversione della feudalità, ai Doria del Carretto.
Un documento del 1603 redatto da A. Siviglia fornisce una descrizione dettagliata del castello di Avella nelle sue ultime fasi di occupazione: «Vi è... sopra un monte dalla parte di occidente lo castello con la cittadella e palazzo... nel quale vi è una torre grande con cortiglio. Una sala con otto camere in piano e molta altra comodità. Questa cittadella è murata con dodici altre torrette attorno dette mura per combattere e dentro vi sono da circa cento fochi distrutti e disabitati. Vi è anco la Parrocchia e cisterna grandissima, nella quale al presente vi è acqua freddissima, lo quale castello è fatto con grande artfìcio con mura altissime e grossissima spesa... vi sta lo castellano e visi ponevano li carcerati di mala vita” (CORDELLA 1997, p. 58).
Questa immagine di un abitato ormai morto e dello stesso castello ridotto a prigione e residenza per il castellano. sembra essersi ulteriormente aggravata negli anni successivi. La terribile eruzione vesuviana del 1631 fece sentire i suoi effetti anche sul territorio di Avella, che fu ricoperta da una spessa coltre di cenere, tanto da essere esentata per cinque anni dal versare le tasse al Viceré di Napoli (MARCIANO, CASALE 1994. pp. 13, 28). La cenere vulcanica ricoprì le rovine del castello, che fu gradualmente spogliato nelle sue strutture a favore del nuovo centro abitato di Avella che si andava sviluppando sul sito dell’antica città romana.
3.1 Le indagini sulla rocca
Prima che fosse avviata l’esplorazione archeologica della rocca le uniche strutture visibili erano rappresentate dai due muri angolari del mastio e dalla torre cilindrica ubicata sull’angolo est del complesso (Fig. 4, in grigio), mentre il resto delle emergenze giaceva al di sotto di un ammasso imponente di macerie che ne impediva completamente la leggibilità. La strategia dell’intervento, che si è rivelato molto complesso, ha dunque tenuto conto di una duplice finalità: la definizione, in via prioritaria, dell’organizzazione topografica della rocca attraverso un intervento esplorativo a carattere estensivo e, successivamente, la comprensione dello sviluppo diacronico del complesso mediante saggi di approfondimento. L’indagine, durata circa un anno, ha interessato un’area di oltre mq. 1000 ca.
Nell’aspetto attuale (Figg. 3-4), alle fine delle operazioni di scavo, la rocca appare organizzata intorno ad una corte centrale di forma trapezoidale (Fig. 4, n. 5) e si presenta come il palinsesto di numerosi e articolati interventi edilizi succedutisi nell’arco di circa sei secoli, dal periodo altomedievale (XI secolo) al XVll secolo. Il limite settentrionale è definito dai due possenti muri ad angolo del donjon bassomedievale che, fondati sulla roccia inglobano la parte terminale della collina racchiudendone l’estremità (q. max. 320 s.l.m.); la loro sommità è percorsa dal cammino di ronda, protetto da una spessa merlatura.
Il muro nord-occidentale termina con una torre a pianta rettangolare (10), conservata parzialmente in elevato; ad esso si addossavano originariamente alcuni ambienti su due livelli che, al piano superiore, prendevano luce da quattro grandi finestroni. All’interno del muro nord-orientale si aprono due porte pedonali, di cui quella settentrionale più ampia. L’apertura, posta circa a m 6 dal piano d’imposta esterno del muro, permette l’accesso all’interno della rocca alla medesima quota della corte; all’esterno doveva essere predisposta una rampa o un castello lineo che, collegato ad un ponte levatoio, doveva permettere di superare il notevole dislivello. L’estremità meridionale del muro è occupata dall’imponente torre di forma cilindrica con base troncoconica (27), alta circa m 30, che sulla base della tipologia architettonica è ricondotta dai vari studiosi ad epoca angioina. Nell’aspetto attuale essa appare saldata dal punto di vista costruttivo alle strutture del donjon e si articola su cinque livelli dei quali, quello inferiore, ospita una cisterna. Il suo coronamento presenta una merlatura al di sopra di beccatelli aggettanti e caditoie per la di- fesa piombante. Dalla corte l’ingresso alla torre avveniva attraverso un’apertura situata ad alcuni metri d’altezza e accessibile mediante scale di legno.
Una seconda porta del tipo a corte interna (n. 13), protetta dalla torre e raggiungibile dall’esterno tramite una rampa, si apre lungo il muro sud-orientale del castello. Ad esso si addossano tre ambienti (14-16) di cui però lo scavo, in questa fase, si è limitato a definire il perimetro. La scala messa in luce all’esterno dell’ambiente 15 indica la presenza di un primo piano anche su quest’ala della roccaforte.
L’angolo sud del complesso è occupato da un bastione a punta (12) di notevoli dimensioni (i due lati esterni hanno una lunghezza di circa m 18), la cui edificazione avvenne nel periodo rinascimentale nell’ambito di una complessiva ristrutturazione del lato meridionale della rocca.
È molto probabile che il bastione inglobi una torre più antica, posta a protezione del quarto angolo del mastio bassomedievale e di un originario accesso. Come si vedrà, infatti, l’intervento rinascimentale comportò, con il rafforzamento del lato sud-occidentale del castello, l’obliterazione di una porta attraverso la quale in precedenza era possibile uscire dalla rocca e raggiungere l’area racchiusa dalla prima cinta muraria.
Allo stato attuale delle indagini è possibile articolare le fasi di occupazione della parte alta della collina del castello in tre periodi.
Il periodo I, altomedioevale, rappresenta il più antico momento costruttivo finora individuato, con l’edificazione di strutture in blocchi di tufo pertinenti almeno in parte a un apprestamento difensivo; nel corso di tale periodo, ma in un momento che è ancora da stabilire in termini di cronologia assoluta, si assiste alla costruzione della prima cinta muraria.
Il periodo Il, bassomedievale, vede una ristrutturazione complessiva della rocca attraverso l’edificazione del donjon, che è realizzato in concomitanza con il secondo circuito murario e dunque con un notevole ampliamento dell’area difesa.
Il periodo III, rinascimentale, registra una modifica parziale della distribuzione planimetrica del complesso, con alcune significative variazioni nelle vie d’accesso e con importanti rifacimenti finalizzati in particolare al rafforzamento dell’angolo meridionale.
Periodo I: Alto-Medioevo (X-XI secolo)
La più antica fase di occupazione della rocca è rappresentata da una struttura realizzata in grossi blocchi squadrati di tufo, rinvenuta immediatamente a sud del muro nord- occidentale del donjon (Fig. 4, sett. 1). I blocchi, di dimensioni variabili, sovrapposti per filari orizzontali e allettati con malta, recano in alcuni casi segni di cava e presentano incassi quadrangolari per la messa in opera Fig. 8). La struttura, larga circa m 1,20 e conservata per circa m 1350 di lunghezza, è orientata in senso nord-est/sud-ovest. E probabile che essa rappresentasse il muro perimetrale dell’originaria rocca; la sua cronologia, per ragioni di ordine stratifico e sulla base del materiale recuperato nel riempimento del cavo di fondazione (ceramica dipinta a bande) è da porre alla fine del X-XI secolo. Alcune strutture di analoga tecnica costruttiva sono emerse all’interno di una grossa fossa individuata nel pavimento della torre quadrangolare (Fig. 5, n. 10) ma lo scavo, limitato per lo spazio a disposizione, ha impedito di stabilire quale potesse essere il loro rapporto con la struttura già citata.
Alla medesima fase costruttiva è da attribuire un ambiente di forma trapezoidale (Fig. 5, n. 24), addossato alla cortina individuata nel settore 1, che doveva articolarsi su due livelli, al primo dei quali si accedeva attraverso una porta situata lungo la parete sud-est, successivamente obliterata. La presenza di un piano superiore è indiziata dai fori quadrangolari per l’alloggiamento delle travi lignee visibili sul muro sud-occidentale; tramite una porta di cui resta la soglia e parte degli stipiti, dal secondo livello dell’ambiente era possibile passare in altri vani posti a sud.
A questa fase più antica è inoltre riconducibile una cisterna (21) che è stata scoperta ed esplorata nell'estremità ovest dell’ambiente 11, immediatamente a ridosso del muro in blocchi di tufo. Al suo interno, al di sotto dei materiali di scarico delle fasi più recenti, sono stati individuati due distinti livelli di limo legati all'uso della struttura, dai quali proviene ceramica dipinta a bande databile nel corso dell’XI-XII secolo.
Fase I
Questa fase corrisponde ad un momento di ristrutturazione complessiva della rocca, con l’edificazione del donjon. L’individuazione, nel saggio condotto nel settore 1 Fig. 5) del cavo di fondazione del muro nord-occidentale del mastio, permette — seppur ancora in modo ipotetico considerata la limitatezza dell’area esplorata — di proporne la cronologia tra la metà del XII e gli inizi del XIII sec. (i materiali rinvenuti comprendono ceramica invetriata verde, ceramica dipinta a bande, dipinta sotto vetrina del tipo spiral ware, anfore siciliane del tipo a cannellures).
Lo scavo ha portato inoltre alla luce il limite sud-orientale della rocca, costituito da un muro in pietre calcaree legate con malta, fondato sulla roccia e rinvenuto quasi completamente in crollo. Originariamente doveva raggiungere la medesima altezza delle strutture superstiti del donjon, come dimostrano le ammorsature ancora visibili sull'elevato della torre cilindrica (27). Ai piedi di quest’ultima si dispone la porta orientale, del tipo a corte interna, di cui si conserva in situ una soglia di calcare con gli alloggiamenti per i cardini. Alla porta si accedeva tramite una rampa, ottenuta regolarizzando la roccia naturale, che costeggiava il muro perimetrale.
Meno chiara appare per questa fase la delimitazione del lato sud-occidentale del castello; verosimilmente l’angolo attualmente occupato da una torre a punta (12) di età rinascimentale, doveva prevedere una torre più antica.
A questa fase sembrerebbe da doversi ancora ricondurre, per ragioni di ordine stratigrafico, la porta sud, messa in luce ad ovest della torre 12 e inglobata nelle strutture rinascimentali (Fig. 5). Costituita da piedritti in calcare e sormontata da un arco a tutto sesto con conci radiali di tufo grigio e giallo alternati in maniera non regolare, la porta originariamente doveva aprirsi verso l’area racchiusa dalla prima cinta muraria.
Rimane incerta allo stato attuale delle esplorazioni l’assegnazione alla fase 1 della cisterna ubicata nell'angolo sud- occidentale della corte e realizzata attraverso un’opera di ristrutturazione dell’ambiente 24 della fase alto-medievale. Le pareti interne dell’antica struttura trapezoidale furono infatti rifoderate e ricoperte di intonaco idraulico; l’ambiente fu suddiviso internamente in due nuovi vani (un. 2 e 3), coperti con una volta a botte e separati da un muro dotato di due ampi fornici, che fungeva da rinforzo della cisterna.
Fase II
A questa fase sono da riportare una serie di strutture riferibili almeno a due ambienti Fig. 4, nn. 20 e 23), messi in luce parzialmente nell’area settentrionale della corte. Il loro orientamento è congruente con il lato orientale della rocca. Dal punto di vista stratigrafico tali ambienti sono successivi alla fase 1 e risultano distrutti nel corso del XV secolo.
Fase III
In questa fase si registra la quasi completa distruzione degli ambienti 20 e 23 della fase precedente; immediatamente ad ovest dei resti dei due vani, di cui parzialmente si conservano anche i livelli pavimentali, è stata individuata una grande fossa di scarico dai cui livelli di riempimento provengono materiali ceramici (prevalentemente maiolica monocroma bianca, policroma in verde e bruno, ceramica da fuoco, ceramica dipinta a bande strette, rari frammenti di ceramica ispano-moresca) inquadrabili nel corso del XV secolo, che rappresenta il terminus ante quem per la cronologia degli ambienti.
Contemporaneamente si assiste alla parziale distruzione del tratto del muro in blocchi di tufo della fase alto-medioevale messo in luce nel settore 1. Dai livelli di riempimento della trincea di spoliazione realizzata probabilmente per il recupero del materiale da costruzione, provengono, infatti, materiali cronologicamente omogenei a quelli della fossa su citata.
Si ricorda che, secondo quanto attestato dalle fonti, in questo periodo il territorio di Avella subì danni a causa dei forti terremoti del 1456 e del 1466.
Periodo III (XVI-inizi XVII secolo)
Nel corso del XVI secolo si registra la realizzazione di nuovi interventi destinati alla ristrutturazione e alla trasformazione della rocca in palazzo, alcuni dei quali sicuramente riconducibili alle attività edilizie promosse dalla famiglia Spinelli e ricordate dall’epigrafe menzionata in precedenza.
E in questo periodo che l’aspetto militare della rocca viene adeguato alle nuove esigenze derivanti dalla diffusione delle armi da fuoco a media e lunga gittata, attraverso la costruzione sul suo angolo meridionale di un robusto bastione a punta (Fig. 5, n. 12) dotato, lungo il lato sud-est e sud-ovest, di due basse terrazze protette da parapetti. È evidente che il bastione, rivolto verso sud, ha come finalità il controllo del fondovalle e della strada che metteva in comunicazione l’Irpinia interna con Napoli. La realizzazione della torre comportò la tompagnatura della porta sud, alla quale si addossò una scaletta che permetteva di raggiungere dall’interno della corte il terrazzo di difesa.
In questa fase il limite sud-occidentale del castello è occupato da un ambiente (11) di forma rettangolare allungata (m 28x4,50), coperto da una volta a botte ed interpretabile come scuderia (Fig. 7). Esso era illuminato da una serie di finestre a doppia strombatura e riutilizzava come limite occidentale un tratto del muro altomedievale in blocchi di tufo; una stretta porta ricavata nello spessore del muro consentiva il passaggio nell’adiacente torre bassomedievale (10), il cui il piano di calpestio risulta rialzato. All’interno del vasto ambiente lo scavo condotto nel saggio A (Fig. 5) ha permesso di individuare la mangiatoia e un abbeveratoio, che confermano l’interpretazione della struttura come scuderia. L’accesso principale avveniva da est attraverso un portale di tufo (rinvenuto in crollo) che immetteva in un piccolo vestibolo (17) dal quale, procedendo verso nord, si poteva raggiungere, attraverso un altro portale, la corte (5). L’usura di uno degli stipiti del portale dell’ambiente 11, verosimilmente causata dallo sfregare dei mozzi delle ruote, permette di ipotizzare il passaggio di piccoli carri che dovevano trovare ricovero nell’ambiente o semplicemente scaricare il foraggio per gli animali che qui dovevano essere custoditi.
Al di sopra della scuderia si ubicava un secondo livello, raggiungibile attraverso una scala (Fig. 6) di cui sono stati rinvenuti in situ i gradini in lastre di tufo; la realizzazione della scala comportò l’obliterazione di una vasca-cisterna (18) alla quale, nella sua fase d’uso che è ancora da definire in termini di cronologia assoluta, era addossato l’ambiente 19. Al di sopra della vasca, ormai rasata, fu messa in opera una canaletta che, raccogliendo l’acqua dal piano posto al di sopra della scuderia, la scaricava nella cisterna (2-3). Contemporaneamente con la rasatura delle strutture dell’ambiente 19 e del contiguo ambiente 26 si ampliava l’area interna della corte, il cui piano di calpestio risultava regolarizzato con un letto di malta.
Sempre nel corso del XVI secolo è da porre la ristrutturazione del lato occidentale del mastio, con la realizzazione di nuovi ambienti (4, 6, 7, 8).
In attesa che si completi lo studio dei materiali, quest’ultima complessiva fase di ristrutturazione si può in via preliminare porre nella seconda metà del XVI secolo. Non molto tempo dopo il castello fu però definitivamente abbandonato: sui crolli delle strutture è stato infatti individuato nel corso dello scavo un deposito di cenere vulcanica riferibile all'eruzione del Vesuvio del 1631. Questa data rappresenta dunque il terminus cronologico puntuale che sancisce il definitivo abbandono della rocca, cui fece seguito, di contro, lo sviluppo del borgo situato sull'area della città romana di Abella.
*Si ringrazia la Dott.ssa G. Tocco, Soprintendente per le province di Salerno, Avellino e Benevento, per aver consentito la pubblicazione di questo studio. Lo scavo, condotto con Finanziamenti CIPE gestiti dal Comune di Avella nel periodo maggio 2000-maggio 2001, è stato effettuato sotto la direzione scientifica di T. Cinquantaquattro dalla Soc. Sosandra a.r.l. La documentazione grafica e i rilievi relativi alle nuove aree d’indagine sono dell’Arch. I. Calcagno; le foto provengono dall'archivio della Soprintendenza. I capitoli 1.1, 1.2 e 3.1 sono a cura di T. Cinquantaquattro; il capitolo 2 è stato curato da D. Camardo, il capitolo 3.2 da F. Basile.
Catalogus Baronum 1972 = JAMISON E. (a cura di), Catalogus Baronum, Roma 1972.
CINQUANTAQUATTRO T. c.s., Abella, un insediamento della mesogaia
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