Dinamiche simultanee di visioni interiori
La professionalità, in arte, di Nicoletta Abate si precisa al primo impatto con l’opera che rivela i dati armonici di una consapevolezza estetica. Si tratta di un discorso serrato, forte, composto alla giusta distanza della visione nella quale conta la dose delle luci tra le situazioni che emergono: l’immaginario segnico-pittorico non esige caricarsi di emblemi culturali , ma illuminare, tra natura e ragione, tra sognato e vissuto, un percorso alla verità che non è delle emozioni e dei sentimenti comuni. Angelo Calabrese Nicoletta Abate in GalleriaNicoletta Abate in Vetrina |
NICOLETTA ABATE Cenni biografici
Dopo gli studi artistici e accademici, ha coltivato pittura e tecniche incisorie, inserendosi a pieno titolo nel panorama dell’arie italiana fin dagli anni sessanta. Nel 1966 merita il primo posto nel prestigioso «Premio Casciaro» e si impone all'attenzione della critica nella «Biennale dell’Incisione» a Macerata. La serie dei successi prosegue ininterrotta nelle personali: «Il segno oltre il racconto’), Pan Ari, Roma 1967; «Fantasie-Città», Castello di Montefusco 1968; «Epica e Lirica», Arte Club, Palermo 1980; «Fantasia d’altre città», Circolo Sociale, Caserta 1971; «Zodiaci», La Bilancia, Napoli 1974; «Campania Prima», Napoli 1916; «Linearte77», Politecnico, Napoli; «I Castelli», Maschio Angioino, Napoli 1981; «Incisioni e Disegni», Arteteka, Napoli 1983; «Forme e colori», S. Benedetto, Salerno 1984; «Ethos», Roma 1984; «Archeologia», Arteclub, Torre Annunziata 1986; «Dipinti e incisioni», La Bilancia, Napoli 1987; Del Mese & Fisher, MeischsteiWanden, Zurigo 1987. Ha intensificato l’attività espositiva dalla seconda metà degli anni ‘80 con personali ad Avellino, Prato, Cimitile, Pomigliano d’Arco, S. Giuseppe Vesuviano, partecipando a varie edizioni dell’Expo Arie di Bari e all’Expo di Bologna. Tra i riconoscimenti più recenti: 1° Premio «Pisaurum d’Oro», Fano (Pesaro); Medaglia d’Oro, Ponzano Veneto (Treviso) e Cesena. Sue opere figurano in importanti collezioni pubbliche e private, nazionali ed estere. Recensioni: «Il Mattino>’, «La Nazione», «Service», «Il Domani», «Dove», «Le Arti News», «Praxis», «Il Cittadino», «La Voce>’, «Hyria» ed altre. Dinamiche simultanee di visioni interiori
La professionalità, in arte, di Nicoletta Abate si precisa al primo impatto con l’opera che rivela i dati armonici di una consapevolezza estetica. Si tratta di un discorso serrato, forte, composto alla giusta distanza della visione nella quale conta la dose delle luci tra le situazioni che emergono: l’immaginario segnico-pittorico non esige caricarsi di emblemi culturali, ma illuminare, tra natura e ragione, tra sognato e vissuto, un percorso alla verità che non è delle emozioni e dei sentimenti comuni. C’è infatti un sentimento essenziale, elementare e quindi universale del sentire, che proprio nell’armonia dell’insieme affronta temi umani e giustificazioni interiori, levità d’atmosfere e registri ispirativi che decifrano codici geometrici. E spesso lo fanno con la pregnanza di quell’ineffabile energia avvertita nel farsi della realtà e del pensiero che si identifica nel termine suggestivo di tensione. Fin dal primo impatto con la produzione di questa pittrice ho avuto la testimonianza di una ricerca in cui si poteva avvertire chiaramente, e con grande soddisfazione, l’assimilazione di una lezione concreta ispirata ai grandi maestri, specie quelli del taglio emblematico dell’immagine nello spazio aperto e sintetico insieme. C’era anche quella del difficile segno incisorio che sa intercettare senza equivoci la concreta comunicazione; ho compreso di trovarmi di fronte ad una personalità nemica delle esteriorità, gelosa di una intimità che trova lo specchio ideale solo nell’arte. Imparando a poco a poco a leggere nelle testimonianze di vari periodi di ricerca, ho riscontrato che il denominatore comune che sostanziava la coerente evoluzione appariva sempre quello della acuta sensibilità, di una non comune capacità di avvertire le percezioni registrate nello spazio naturalistico che però non aveva più bisogno d’essere evidenziato perché era il dato umano ad aver ormai il sopravvento e a determinarsi come astrazione dell’evento. L’opera stessa diventava a quel punto una presenza sensibile che non poteva essere compresa con un rapido sguardo d’insieme. Addirittura proprio per l’innocenza riacquistata dopo la catarsi dell’adulto che si riappropria dello spazio interiore, quelle opere rischiavano di non essere comprese, anzi avrebbero potuto rivelarsi ostili alla scarsa sensibilità. Offrivano invece un groviglio di sentimenti e di pensieri profondi, un brivido per le cose che passano, un leggero sorriso che conosce la delusione, le storie tristi e umanissime che crescono nell’orto della vita e che potrebbero rendere addirittura arida l’esistenza. Mi ha, Io confesso, particolarmente attratto quella malinconia che giostrava tra gli intrecci di luci e di piani tra i quali, senza giocare a rimpiattino, emergevano presenze ambigue nel ruolo della maschera. Tutta l’opera comunque traeva ispirazione dalla vita, da situazioni e vicende evocate anche come memoria di una vitalità d’altre stagioni, ormai favole di segni e colori individuati oltre i segnali biologici. Altrove una simile maniera di far arte avrebbe richiesto un controllo che avrebbe certo limitato la gioiosa dose percettiva. Nicoletta Abate risultava invece luminosa e lirica, fresca anche in quel bilanciamento che per il segno ed il colore è essenziale, sia per l’identificazione, sia per la naturalezza. Insomma quelle opere erano interessanti perché avevano alle spalle una forte lezione appresa come vigore di comunicazione, ma «erano, veramente, Nicoletta Abate: un sentimento vitale a misura d’arte. Esprimevano, ed è doveroso sottolinearlo, un’autonoma illuminazione interiore e non narravano né documentavano: erano «visione», scaturita da una sensibilità certamente ancestrale, perché rendevano l’antico e vago ricordo, ma alla festa delle immagini, compresenti solo perché filtri di luci, c’era solo il sapore della novità, dell’apparizione. Nicoletta Abate aveva trasferito il ricordo-immagine di un molo in un’altra forma logica del mondo solido-aereo-liquido. C’era il presagio di una bellezza fatta antica perché già passata e al lettore sensibile si palesava la grazia di una malinconia profonda e dosata, colta all’interno, composta, quasi enigmatica fino a deconnotare le coordinate geografiche. Quel molo d’approdo e di partenza ormai apparteneva al ricordo che lo aveva già rivestito di fantasia. Ecco la logica di questa pittura che raffigura all’essenza le verità intime. È una sottile logica del sentimento che, consapevole dei più oscuri principi della vita, sottrae le cose di tutti allo sguardo di tutti e le riserva alla visione superiore di una comunione più elevata, di una comunione naturale del sentire. Questa pittura tratta la vita con gravità e dolcezza, facendo pulsare piani di visioni e velandoli di trasparenze che, nel respiro d’insieme, si scandiscono ora compresenti, ora dislocati su spazi vissuti-pensati, tra realtà e memoria, concreta presenza e gioco fantastico: è arte densa di atmosfera psicologica. Direi che essa è il vero paesaggio in cui avvengono - si palesano le visioni. L’uovo-sfera ribaltata che allude alla nascita-rigenerazione dell’uomo con il sacrificio di Cristo, il bianco-nero del dissidio dialettico degli opposti, contribuiscono a dare spazio alla meditazione. Non è un mondo parallelo al nostro quello in cui Nicoletta Abate si tuffa: è proprio il nostro, ma con la presenza delle incognite del vivere, con le evidenze che diventano mirabili perché mai viste così prima della intuizione artistica. La tela diventa pertanto un campo dove le immagini si comportano come semi aperti all’improvviso e nulla è reso intero nella rappresentazione. Per rendercene conto basta esaminare <‘La Natività», un soggetto molto comune, presente nella produzione di innumerevoli artisti, che però Nicoletta Abate determina tra sigle accennate di case, città, pavimenti, scacchiere, frontoni, grate, pareti, tende, oggetti d’arredo. Ci sono porte, vani neri d’ingresso nel buio del mondo terreno, panneggi e gioco fantasioso del cerimoniale natalizio: accenni al bue, all’asinello, a Giuseppe-Maria, fusi nella persona e individuati nell’insieme solo per metà viso, al bambino, scrutatore a dondolo nel cerchio della sacra famiglia. Tutto accennato a mezza strada, tutto presente e assente, tutto da completare col pensiero e magari sulla stessa soglia del tempo avaro che come l’universo respira e s’espande, ma poi contrae i polmoni e restringe la visione. Eccola di nuovo aperta, eccola pacata, anche nella malinconia che l’accompagna; ecco il sogno e l’allusione alla realtà dove l’ambiguo regna sovrano. Nei vari lustri che segnalano il percorso artistico e la ricerca della Abate si distingue un primo periodo in cui si rivela la sua forte passione per l’arte incisoria e per una figurazione apparentemente realistica, ma in realtà vissuta ad occhi chiusi e sognata ad occhi aperti: c’è una propensione per le cose che esistono e soffrono. C’è l’incanto per il mistero da cui promana la magia di carte da gioco e tarocchi nei quali la verità non può essere che quella fantastica. Si avverte proprio questo bisogno di poter respirare fantasia, anche se è sempre forte il richiamo all’ineluttabile che non si cancella mai dalla mente. Segue una visione naturalistica trasferita sul piano dell’espressionismo di tipo cubista analitico dove il momento geometrico e le valenze emotive si conciliano in chiari colori e decise scansioni spazio cromatiche. Si accede poi ad un mondo dove la realtà del fantastico prende il sopravvento. Il segno grafico scandisce gli spazi e il colore è quello desunto dalla necessità di serbare intatta la fantasia. Le opere di questo periodo, corrispondente agli anni settanta, fanno trasparire la personalità della pittrice che riflette e giudica, che ricorda e attraverso «spezzoni» di immagini ricostruisce e modifica una realtà che si può connotare solo conoscendo la chiave di volta per decifrare tutti quei brandelli semantici che sono magari arco rampante di ponte, maschera, capitello, scacchiere variamente colorate, labirinti di interni sempre più intimi, blu memoriali, rossi vitali, stupori e disappunto mascherati di delusioni profondamente avvertite. Successivamente saranno paesaggi e nature morte ad evidenziare nelle vibrazioni di piani multipli il senso della natura che si fa memoria nel tempo che trascorre. Sommergere, inondare, travolgere, ostacolare, sono infiniti che assumono nella pittura altri significati: diventano situazioni di equilibrio e lucidi fantasia che scorrono sotto gli emblemi solari e lunari, tra cieli e mari allusivi: Nicolettà Abate continua a fare selezioni di memorie e immagini connotate dall’inconscio e la vita diventa momento unitario che dà fiducia e intanto inquieta. Il fascino del surreale avrebbe potuto a questo punto assurgere a momento unificante e diventare quello connotativo in maniera predominante, ma Nicoletta Abate, senza rinunciare ad essere visionaria, esige la dimensione realistica e allora si spiegano le sue intuizioni geometriche che si accendono di luci con memoria analitica, con particolari che si fanno discontinui, che trovano fenditure, porte segnali, fratture, presenze, cavità, pavimenti, segni architettonici, puzzle, chiarori intermittenti, luminosità estreme, movimenti inquieti che comunicano, appunto, qualcosa di indefinibile. Si tratta di sottili vibrazioni d’atmosfera, di sensazioni domestiche che però non ci appartengono più e che ci confondono con i loro allettamenti, con le dilatazioni, con gli abbagli ondulanti, dispersi nel mondo dove non si va certo per navi e mezzi di trasporto conosciuti. Anche nelle cose reali e note Abate cerca la trama del sentimento che deve ri-velare segreti. L’idea barca, nave, costruzione ardita, per lei non deve essere deformata nell’immagine ripresa, Il dato oggettivo deve aprirsi alla luce, dis-articolarsi e ruotare su vari assi, diventare faro e fascio luminoso, rapporto di continuità con il presente e volo imprigionato: trama e filo, sicché la fantasia deve trovare il folto e placarsi nella bellezza, prima di galleggiare nella solitudine fuori dal mare di sentimento dove la pittura conosce l’eternità dell’attimo che brilla e riluce. Nei labirinti dell’ultima maniera la vita e la morte sono gli estremi del dondolo che accoglie il paesaggio dell’infanzia, la continuità psicologica: immagini tratte nella rete della memoria, sigilli e monadi chiuse ermeticamente. Tutto l’inventano pulsa comunque nell’armonia e il discontinuo trova nel continuum spazio-temporale dell’artista il momento unificante. Nicoletta Abate continua nel suo inconscio a sottrarre alle occasioni ciò che è bello e armonico e lo fa tra memoria ed arte, per non perderlo mai più. Le sue primavere presenti appaiono perciò lontane, scaglie di vita, assolutezze familiari e domestiche. Sono frammenti innestati in quel tutto organico che appare e si definisce come esserci al mondo, come storia e presenza nel rapporto con la società e lo spazio vitale, e ci sorprendono quelle linee-colore, quei gesti ri-pensati, lenti, gustati per il loro sapore intimo, per la dimestichezza che li connota felicemente, pur restando un segreto dell’artista e pertanto resi come coscienza «estraniata» in un mondo di nessi difficili e di motivazioni mancate. Le opere più recenti sono molto suggestive, sono pittura che nasce dal profondo, armonie senza suoni, instabili negli elementi che sono stati convocati al banchetto: tutti ospiti e tutti autonomi nella ripetizione di un destino che porta «recenti» i fatti antichissimi e riflette in lontananza il presente e la speranza. Resta comunque che nell’armonia compiuta e fertile dell’opera di Nicoletta Abate non si notano intrusioni: si tratta di un gioco libero, esplicito che si chiarisce con un atto di fede, di coerenza, di impegno. Per questo abbiamo precisato che l’arte di questa pittrice si identifica nella semplicità e nella complessità, in quell’ambiguo apparente che hanno alla verifica le cose elementari che si rivelano come se stesse e come il loro opposto, ordinarie e straordinarie insieme. Proprio come un piccolo seme che si ignora o calpesta finché non se ne comprende il significato. Dopo, per le definizioni, per rendere ciò che si è appreso, occorrono diecine di volumi. Angelo Calabrese Antologia critica Nicoletta Abate ri-costruisce all’interno dell’opera momenti esistenziali e li comunica con calibrata spazialità, con un segno incisivo e con una pittura concentrata in tagli e inquadrature coinvolgenti. Il suo inventano, meglio che immaginario, con la prerogativa della sintesi dell’attraversamento storico (il sentimento dei colori primari e la intuizione geometrico-logica), affida ad un naturalismo meditativo il gioco delle connessioni. L’opera ha tutte le sue verità palesi, ma nel suo caleidoscopio si ri-vela: si intuisce all’improvviso il senso della metafora, ma poi tutto torna ad essere mistero: l’opera alletta e occhieggia con il suo segreto. lrta 1982 Quando la pittura interpreta ciò che conta nella vita e lo esprime attraverso concrete suggestioni sentimentali, si precisa una storia che sorride tra fantasia poetica, invenzione della realtà ed elevazione spirituale. Su queste componenti dell’arte si precisa l’iter di Nicoletta Abate che tra proiezioni di luci e spazi, concretezza plastico-figurale e resa composta e sapiente, inventa le sue espressive trasposizioni figurali. Gusto e geometrizzazione, scarto cromatico e stesura vibrante, restano come capisaldi di eventi comunicati con autenticità esistenziale e con umanissimo sentire. Nicoletta Abate insegue l’essenza dell’idea e lo fa con coscienza, con vigore, con rispetto del dato naturale, con sintesi che quasi religiosamente traduce in pittura la concretezza dei giorni comuni. E notevole come il linguaggio della pittrice si sia organizzato in vero e proprio riserbo intimo e chiarezza naturale. La forza centripeta che è essenziale per cogliere tutti i rapporti con il colore e la consistenza della vita vissuta come dovere e speranza, dignità e amore per gli spazi interiori, lirici anche nell’astrazione. Pittrice anche della nostalgia, nella interpretazione fantastica e del sorriso che insegue il tempo perduto, Nicoletta Abate sorprende soprattutto per l’euritmia compositiva che chiarifica la visione unitaria e le conferisce organicità nella improvvisa scoperta di una pulsione sinergica in cui luce, segno-gesto, flusso di colore, si aprono all’unisono sulle soglie di un evento. Rosa Fabbricatore 1987 I colori luminosi della Abate sono aree emozionali che individuano decisi percorsi:
l’insieme unitario, espressivo specie nelle filtrazioni delle esperienze segniche e gestuali che mantengono la forza della sostanza espressiva di base. La matrice espressionistica infatti si rivela nell’uso del colore o ancora più specificamente nell’affiorare degli elementi figurativi dipanati come in un lungo racconto, o pagine tutte insieme raccolte alle quali si deve solo dare un ordine per trovare un filologico, la giustezza delle connessioni. Nicoletta Abate propone una pittura affascinante come tale, un po’ misteriosa, e questo non guasta alla ricerca, senza tentennamenti, e ciò è essenziale per evitare i luoghi comuni. Un tipico gioco analogico, con il gusto delle incisioni, determina un linguaggio che filtra la realtà naturale e le affida un ruolo tra memoria e fantasia, ragione e sentimento. Salvatore Di Bartolomeo 1984 Talvolta penso alla pittura dell’Abate come ad un processo costruttivo che si precisi alla coscienza attraverso segni, ormai misteriosi, e figure che s’aprono a ventaglio nella loro solitudine, ma poi tutte convergono all’idea unitaria e fanno intendere come nessun tassello possa escludersi dall’esperienza vitale.
Ci sono i grandi amori: i maestri incisori e i pensosi umanisti, come pure i moderni e i contemporanei che affrontano il problema della luce: la memoria colta non inganna; anzi testimonia l’assimilazione di forti lezioni che diventano strumento per indagare nello spazio della storia intima. Questo è un merito. Non è neppure ammissibile la falsa «invenzione» che, come tale, deve pure avere lo spazio della ricerca e della conoscenza. Invenio significa «trovo» e comunque la formulazione dell’immaginario deve partire dalla concreta conoscenza, del fatto o degli elementi che lo compongono alterati, de-formati quanto si voglia, ma sempre e decisamente dotati di paternità e maternità. Qui il senso dell’equilibrio classico si sposa con i colori dell’espressionismo e danno il tempo reale alla materia pittorica, alla tensione vitale di un mondo che conosce le radici ed il volo. C. Montorsolo 1988 Il doppio e la realtà
I sottili concettualismi dell’arte portano spesso l’artista ad una continua ricerca della idea su cui l’esprimersi vuole essere, e su tale idea vuole cercare la propria identità e la fenomenologia, che sa di enunciati tecnologici. Su questa base il lavoro recente di Nicoletta Abate trova, pertanto, il suo terreno programmatico ed anche di sperimentazione, I suoi riferimenti e le sue logicità attraversano, infatti, un campo che, apparentemente, sembra esaurire la propria fonte, ma che nella realtà è semplicemente il punto di partenza di un lungo discorso, sia intorno all’arte che nel mondo dell’espressione pittorica. E, certamente, su questa impostazione metodologica l’Abate trova la sua congeniale forma espressiva: un discorso singolare, quasi avulso da una storia del tempo o fuori misura dalle nozioni sintattiche dell’opera, descrivendo, quindi, una realtà che si sviluppa attraverso una personale concettualità, in cui le componenti del quadro diventano i segni evidenti di una realtà dell’ego, che sviluppa a livello mentale armonie e suggestioni, che restano tuttavia chiuse all’interno della stessa opera. Per Nicoletta Abate, infatti, il concetto di opera è da considerarsi come un doppio, come un’immagine che si specchia e gioca la sua realtà, perché gli orizzonti restano aperti e mai determinati, e tutto qui diventa sfondo ad una nuova immagine, che la pittura assume rispetto al suo stesso divenire. Abbiamo, così, non una sola immagine, ma svariate e variegate possibilità su cui indagare e quindi trovare la propria realtà. L’apparente geometrismo dell ‘Abate (ovviamente i riferimenti culturali potrebbero essere tanti) vive all’interno delle sue forme, quasi come un disegno, che delinea gli aspetti formali dell’immagine, sulla quale resta ovviamente solo il pretesto schematico dell’essenza del linguaggio. E la forma assume, pertanto, nel suo aspetto centrale, una propria essenza, o meglio un suo contenuto intellettuale ma anche il dialogo, che l’artista effettua con il suo fruitore. Allora si comprende bene che il segno adottato da Nicoletta Abate è solo un pretesto, e che bisogna trovare altrove la vera essenza del linguaggio: un codice culturale, questo, che ha una necessità di decodificazione ed anche di una diversa connotazione nel panorama della pittura. Nicola Scontrino 1989 |
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© StudioErreSodano di A. Sodano
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